Sgomento, rabbia, paura: questi sentimenti accomunano la popolazione egiziana, scossa da una serie di attentati – tra cui il primo al Cairo condotto da un kamikaze – e durissimi scontri che hanno lasciato sul campo almeno 22 morti e un numero imprecisato, ma molto alto di feriti. Oltre a far scattare l’allerta sicurezza per tutti gli stranieri.
Alle prime luci dell’alba un attentatore suicida a bordo di un mezzo imbottito con oltre 500 kg di esplosivo – secondo quanto riferito da responsabili del ministero dell’Interno – ha fatto strage nel quartier generale delle forze di sicurezza del Cairo. Almeno 5 i morti, un’ottantina i feriti, una decina ancora in gravi condizioni. L’esplosione, risuonata a quartieri di distanza, ha devastato l’edificio distruggendo parzialmente anche il Museo dell’arte islamica, un gioiello del mondo musulmano, che si staglia poco distante. La dinamica non è ancora chiara, ma un gruppo jihadista, Ansar Gerusalemme, responsabile di altri attentati e di attacchi in particolare nel Sinai e a colpi di razzi contro Israele, si è assunto la paternità della strage, contro le forze di sicurezza “infedeli e sanguinarie”, hanno scritto i qaedisti.
Mentre si contavano ancora i morti, e i mezzi di soccorso estraevano i feriti da sotto le macerie, altre tre bombe, nell’arco di poche ore, hanno preso di mira gli agenti in un crescendo di tensione che ha spinto molti nella capitale a scambiare qualsiasi “forte bang” come un’altra bomba.
Un ordigno è esploso nei pressi di una stazione della metropolitana, dove un altro è stato disinnescato; un altro ancora vicino ad un commissariato; il quarto nei pressi di un cinema, pur diretto ancora una volta contro le forze di sicurezza. E, come avevano promesso, puntuali dopo la preghiera delle 12 in questo ennesimo venerdì di sangue, i pro-Morsi e la variegata costellazione di forze anti-governative scendeva nelle strade di tutto il Paese. Ma non erano i soli: subito dopo l’attentato kamikaze, al Cairo migliaia di persone si sono radunate davanti al comando della polizia colpito dall’attacco suicida: “Sisi salvi il Paese, si candidi alle presidenziali, uccida i Fratelli musulmani”, è stato uno degli slogan più gridati. E così nel primo pomeriggio sono dilagati gli scontri, violentissimi, che hanno causato la morte di almeno 15 persone, in gran parte pro-Morsi ma non solo, in veri combattimenti di strada tra i dimostranti e le forze di sicurezza, se non con partigiani filo-Esercito, decisi alla vendetta. A Beni Suef e Fayyum i bilanci più gravi, con rispettivamente 4 e tre morti, tra i quali una bimba di 7 anni: una delle tanti innocenti ad aver perso la vita nel corso di questi tre anni travagliati dell’Egitto, che proprio domani celebra la ‘Rivoluzione del 25 gennaio’, il terzo anniversario della rivolta che portò alla cacciata del padre-padrone del Paese, Hosni Mubarak.
Le prossime 24 ore restano tesissime, con un massiccio spiegamento di forze di sicurezza e militari, i tank nelle strade e nelle piazze simbolo come Tahrir, Rabaa, Nadha, chiuse tuttavia all’accesso. Le cancellerie internazionali hanno levato alta la propria voce di condanna, dagli Usa all’Ue, dalla Russia alla Lega Araba, ma c’è il timore di un rinnovato rancore xenofobo.
In questo quadro l’ambasciata d’Italia, al pari di altre sedi diplomatiche, ha invitato i connazionali alla “massima prudenza” e ad evitare luoghi di assembramento, metropolitane e altre zone ad alto rischio. E’ certo che questa notte in molti non riusciranno a chiudere occhio, egiziani e stranieri, in un Paese in fiamme che non vede la luce di un futuro di stabilità e pace. -* Claudio Accogli – AnsaMed