Per stampa e osservatori appare scontato l’esito delle elezioni in programma domenica nel terzo principale produttore africano di petrolio, governato con il pugno di ferro dal 1979 dal presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo. La campagna elettorale si è svolta in un clima restrittivo che ha colpito opposizione e difensori dei diritti umani: diversi siti di opposizione sono stati bloccati e l’accesso al social network Facebook è stato disattivato. Anche alla luce dell’esperienza delle primavere arabe e di fronte alla crescente contestazione di vari settori della società guineana, in particolare i giovani, che da tempo chiedono le dimissioni del più longevo presidente africano, il governo di Malabo ha fatto arrestare diversi militanti di opposizione ed attivisti prima dello svolgimento di alcune manifestazioni nella capitale.
Domenica gli aventi diritto si recheranno alle urne per la prima volta dopo il referendum costituzionale di novembre 2011, approvato dal 97% degli elettori. Tra le novità introdotte dalla Carta fondamentale c’è la creazione di un senato, formato da 75 membri, scelti per la prima volta con il suffragio diretto. Ma i guineani sono anche chiamati ad eleggere un centinaio di deputati dell’Assemblea nazionale e 237 consiglieri di 30 amministrazioni municipali.
Da più di 33 anni la scena politica dell’ex colonia spagnola – 720000 abitanti di cui il 76,8% vive al di sotto della soglia di povertà – è dominata dal Partito democratico di Guinea Equatoriale (Pdge) di Obiang Nguema, al quale altre 11 formazioni si sono alleate in vista del voto. Hanno presentato candidati anche la Convergenza per la democrazia sociale (Cpds), principale partito di opposizione guidato da Placido Mico. “Una coalizione mastodontica quella costituita attorno al Pdge che riuscirà ad ottenere la maggioranza dei seggi nei due rami del parlamento” ha scritto il quotidiano locale ‘Journal de Malabo’.
In ballo c’è anche, secondo molti osservatori, un trasferimento dei poteri al figlio del capo dello Stato. In effetti la nuova Costituzione ha introdotto la figura istituzionale del vicepresidente, una carica alla quale potrebbe essere nominato proprio Teodorin. Già nel marzo 2012 il capo dello Stato lo ha scelto come secondo vicepresidente; una manovra, secondo i suoi detrattori, architettata per mantenere la sua famiglia saldamente al potere. Obiang Junior, già ministro dell’Agricoltura dal 2008, è oggetto di un mandato di cattura spiccato lo scorso luglio dalla giustizia francese per non essersi presentato in tribunale nell’ambito dell’inchiesta sui ‘beni fraudolenti’ (‘biens mal acquis’, ndr), aperta nel 2008 dai magistrati di Parigi. Teodorin Obiang viene sospettato di riciclaggio e di appropriazione indebita di fondi pubblici.
Oltre che per la cattiva gestione dei petrodollari, il presidente Obiang Nguema viene criticato per le costanti violazioni dei diritti umani, in particolare ai danni di oppositori politici, giornalisti e attivisti. Diversi organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, hanno denunciato gravi restrizioni alla libertà di parola, arresti politicamente motivati e restrizioni imposte agli osservatori internazionali che monitoreranno il voto del 26 maggio. Alla vigilia delle elezioni, il ‘Collettivo di solidarietà con le Lotte sociali e politiche in Africa’ – costituito da 14 organizzazioni e partiti politici francesi e africani – hanno denunciato il sostegno dei paesi europei a “una dittatura caricaturale e repressiva in cambio della vendita di petrolio”, ma anche tangenti pagate alla famiglia Obiang dalle società straniere operative in Guinea Equatoriale. – Misna