2002. Viene assolta in appello dal tribunale islamico di Sokoto (Nigeria); in primo grado era stata condannata a morte per lapidazione per una figlia avuta fuori dal matrimonio. Il suo caso aveva suscitato una forte campagna internazionale. Sorte simile, dopo di lei, per Amina Lawal.
«Voglio tornare la Safiya di un tempo, la donna che ero prima dell’incubo. Sapevo che solo in quella condizione sarei stata felice. Anche se nel villaggio mi avrebbero sempre guardata come una donna sola, ripudiata tre volte e adultera, mi stava bene così. Quel che era successo non era stato vano». (In Raffaele Masto, Lapidate Safiya)