Il 50° anniversario dell’Unione Africana è stato celebrato in questo fine settimana ad Addis Abeba durante il 22° vertice straordinario dei Capi di Stato e di governo dell’IGAD, l’organizzazione internazionale per lo sviluppo del Corno d’Africa. Nel suo discorso di saluto il Presidente della Repubblica federale somala Hassan Sheikh Mohamud, sotto la spinta dell’opinione pubblica, non ha potuto evitare il rimprovero agli altri membri per quanto sta accadendo a Kismayo, la terza città della Somalia e più importante porto delle aree meridionali. A Kismayo, una volta liberata dagli Al Shabab, che si sono rifugiati e concentrati nelle regioni centromeridionali, si sono manifestati e scatenati gli istinti predatori delle nazioni che figurano sul palcoscenico internazionale come i maggiori sostenitori del processo di riconciliazione della Somalia: da una parte il Kenya, dall’altra l’Uganda.
Da anni era in corso un dibattito per la riunione delle tre regioni meridionali di Basso Juba, Medio Juba e Gedo in un unico stato denominato Jubaland e con capitale Kismayo. Negli ultimi mesi si trascinavano le tensioni sul candidato presidente. All’inizio sembrava favorito il franco-somalo Prof. Mohamed Abdi “Gandhi”, ispiratore della fusione tra le tre regioni e fatto fuori perché ritenuto troppo moderato, ma all’inizio di maggio, per rompere gli indugi, il candidato del Kenya, Ahmed Mohamed Islam “Madobe”, un Signore della Guerra a capo delle milizie Ras Kamboni, già alleate di Al Shabab ed ora del Kenya, si è autoeletto presidente del Jubaland. In riposta il rivale Barre Aden Shire “Hirale” si è autoproclamato Presidente ed altrettanto hanno fatto i candidati dei clan locali. Adesso il Jubaland ha cinque presidenti. Nel mezzo della contesa è rimasto tagliato fuori il Governo federale di Mogadiscio i cui delegati sono stati bloccati all’aeroporto di Kismayo che è rimasto chiuso per venti giorni per volontà di “Madobe” con la protezione delle truppe keniote che non rispondono agli ordini di AMISOM.
Di queste negative influenze si è lamentato delicatamente, data l’ufficialità dell’incontro di Addis Abeba, il Presidente della Repubblica federale somala Hassan Sheikh Mohamud lasciando tuttavia trasparire che qualcuno della comunità internazionale soffia sul fuoco dell’instabilità somala e rischia di far risorgere le rivalità claniche. Seppure il 22° vertice straordinario dell’IGAD si sia concluso affermando l’illegittimità di quanto accaduto a Kismayo trascurando il governo di Mogadiscio, che a sua volta ha annunciato l’avvio di una conferenza per il Jubaland, si impongono scelte fondamentali per il futuro pacifico della Somalia. In particolare appare indispensabile recuperare il dialogo anche con Al Shabab la cui scarsa coesione si è peraltro manifestata anche nel voltafaccia delle milizie Ras Kamboni.
Il grosso di Al Shabab è fatto di somali. Continuare a combattere Al Shabab significa comunque spargere sangue somalo e perpetuare uno stato di guerra che determina la permanenza di truppe straniere in territorio somalo. Il protrarsi della guerra, proprio nelle regioni meridionali, significa anche non riuscire a risolvere il problema di un milione di rifugiati somali in Kenya e in Etiopia: uomini, donne e bambini che aspettano proprio la fine delle ostilità per tornare a casa.
E’ tempo di compiere i primi passi per superare le divisioni con Al Shabab affinché questa lotta con finisca per costituire l’alibi al permanere dell’instabilità in Somalia. L’annunciata conferenza per il Jubaland può essere la prima occasione dell’apertura al dialogo. – la Repubblica