La sospensione delle attività di trasporto merci in Centrafrica, un paese dove vige “l’insicurezza”, è stato deciso da alcuni sindacati di settore del confinante Camerun un mese dopo l’uccisione di un collega sulle strade centrafricane da parte di elementi incontrollati della coalizione Seleka, l’ex ribellione ora al potere a Bangui. Il provvedimento ha trovato eco sulla stampa di entrambi i paesi. Sul versante camerunese i media evidenziano i rischi per i lavoratori che attraversano il confine e l’insicurezza crescente nelle località situate nei pressi della frontiera.
In Centrafrica, invece, società civile e operatori umanitari temono “l’aggravarsi della carestia” mentre più di 500.000 persone sono già a rischio fame. Concretamente il blocco del trasporto merci dal Camerun determina il mancato arrivo di cibo e beni di prima necessità destinati al mercato locale. Il Centrafrica, che non ha sbocchi al mare, è già alle prese con una grave crisi socio-economica ed umanitaria, come conseguenza dell’insurrezione dei ribelli cominciata lo scorso dicembre e del colpo di stato del 24 marzo. L’emittente locale Radio Ndekeluka ha riferito di una penuria di medicinali a Bangassou, importante località dell’est. Inoltre, a causa dell’insicurezza diffusa molte organizzazioni non governative hanno sospeso le proprie attività di assistenza alimentare e sanitaria nella già povera ex colonia francese.
A lanciare l’allarme per l’attuale situazione che prevale nel paese è stato anche l’arcivescovo di Bangui. “Il Centrafrica è un paese che sta morendo poco a poco” ha detto monsignor Dieudonné Nzapalainga, nel corso di una visita a Parigi dove ha incontrato esponenti di governo e organizzazioni umanitarie cattoliche. L’arcivescovo ha sottolineato che “la coesione nazionale è seriamente minacciata dalle esazioni della Seleka e dagli attacchi ai cristiani che hanno acceso tensioni religiose”. Secondo monsignor Nzapalainga, le autorità centrafricane non hanno alcun controllo sui generali inviati in varie zone del paese, “che si comportano come signori di guerra” e che “affliggono quotidianamente le popolazioni sempre più sofferenti, senza dover renderne conto a nessuno”. – Misna