Chi sono i veri beneficiari degli aiuti alimentari, le popolazioni bisognose del Sud del mondo o i produttori dei paesi ricchi? E in questo mercato che vale miliardi di euro l’anno, è giusto che a trarre profitto siano anche le aziende dei paesi donatori, o questa filosofia è invece l’ipocrite antitesi di quello che dovrebbero realmente essere gli aiuti allo sviluppo? A dare qualche elemento di risposta è un reportage, “Aiuti alimentari, una generosità interessata?”, diffuso in questi giorni dal canale francese France24.
L’indagine mette a confronto due modelli di aiuti allo sviluppo: quello statunitense, che porta un beneficio diretto ai produttori nazionali di cui assorbe l’eccesso di produzione, e quello europeo, disinteressato, cieco, che attribuisce fondi a Ong e agenzie senza interessarsi alla provenienza del cibo che verrà poi distribuito.
In questo sistema, si intuisce dal reportage, gli USA hanno avuto finora la parte del leone: se sono i primi contributori mondiali di aiuti alimentari, ne ricevono anche un cospicuo ritorno. A gestire la maggior parte degli aiuti alimentari è il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam/Wfp), i cui quattro ultimi direttori sono statunitensi. Nel 2012 il Pam ha comprato per 1,2 miliardi di dollari di cibo, ma l’organizzazione rifiuta di rivelare la lista dei suoi fornitori. A beneficiare di questo sistema di aiuti sono soprattutto le aziende, americane, dei settori agroalimentare e dei trasporti marittimi .
Questo tipo di aiuti ha tuttavia un costo molto elevato: comprare nel libero mercato, o far produrre direttamente nei paesi bisognosi, potrebbe far risparmiare il 30% dei costi della macchina umanitaria a stelle e strisce. Per questo motivo, tra l’altro, l’amministrazione Obama starebbe cercando di introdurre alcune modifiche.
A chiedere la loro parte di guadagno sono invece le aziende europee, che al contrario non riceverebbero benefici diretti in questo immenso mercato degli aiuti alimentari. Il sistema comunitario, e in particolare quello francese – secondo gli autori del reportage – non avrebbe vocazione a sostenere le aziende dei paesi donatori. Un sistema disinteressato, scollegato, e forse un po’ troppo “ingenuo” a detta di alcuni.* Celine Camoin – Atlasweb