“I lavoratori non vogliono gli avvocati dello Stato perché lo Stato è parte in causa e sta contro di loro” dice alla MISNA Jo Seoka, presidente del Consiglio delle Chiese del Sudafrica, mediatore e uomo di pace. Di fronte alla commissione d’inchiesta sul massacro di Marikana questo vescovo anglicano ha già testimoniato.
“La polizia – ripete oggi – provocò i lavoratori, che erano pacifici e chiedevano solo di incontrare i dirigenti della multinazionale”. È una giornata che nessuno può dimenticare, quella del 16 agosto 2012. Lo sciopero dei lavoratori che di fronte ai cancelli della miniera chiedono salari e dignità; gli spari degli agenti in tenuta anti-sommossa, i 34 morti, i 70 feriti, i 250 arresti. Un dolore che oggi il Sudafrica rivive, nell’aula dell’Alta corte del Gauteng settentrionale. Il tribunale deve decidere se accogliere o meno una richiesta dei familiari dei minatori uccisi e dei loro compagni di lotta. Non hanno i soldi per pagare la parcella degli avvocati, costretti a rinunciare alcune settimane fa, e chiedono ora l’aiuto dello Stato. Non però nella forma di legali d’ufficio, dei quali non si fiderebbero, ma di un contributo finanziario.
Secondo Dali Mpofi, un avvocato che ha lavorato per mesi senza ricevere alcun compenso, “i minatori potrebbero stare alla pari con la polizia, che è rappresentata da 12 legali pagati dallo Stato, soltanto se vincessero alla lotteria”.
Il nodo è che su Marikana lo Stato non è parte terza. “La polizia – sottolinea Seoka – fu mandata di fronte ai cancelli della miniera per difendere la Lonmin e in genere le multinazionali; il suo intervento non era neutrale, ma politico”. È per questo che le famiglie dei minatori si sono rivolti all’Alta corte. Solo così, dice il vescovo, potranno sperare in un’inchiesta non compromessa del tutto da menzogne e reticenze e in grado di andare oltre la versione dell’assalto dei minatori e della “legittima difesa” da parte degli agenti.
Che il rischio sia alto lo ha confermato una settimana fa la commissione stessa, nominata dal governo e presieduta dal giudice in pensione Ian Gordon Farlam. “Abbiamo ottenuto documenti – hanno scritto i magistrati – che la polizia aveva in precedenza sostenuto non esistessero”. I nuovi riscontri, emersi pochi giorni dopo il via libera a computer e archivi a lungo off-limits, dimostrerebbero che “la versione data dalla polizia dei fatti di Marikana non corrisponde a verità”. Secondo Seoka, alla fine lo Stato sarà condannato e dovrà risarcire le vittime e i loro familiari. Lo dovrà fare nonostante i tanti ostacoli sulla via della giustizia, dai documenti scomparsi agli avvocati costretti a ritirarsi.
Nel frattempo, il 12 settembre, c’è stato un corteo. In centinaia, minatori, ma anche uomini di Chiesa, attivisti e semplici cittadini, hanno raggiunto a piedi la sede del governo a Pretoria. Una delegazione, della quale Seoka faceva parte, ha consegnato al presidente Jacob Zuma un memorandum. “Nel documento – dice il vescovo – c’è scritto che i lavoratori rivendicano il diritto a un processo equo e che vogliono la verità”. – Misna