Stretti tra il governo provvisorio nominato dai militari e i Fratelli musulmani detronizzati, i militanti del movimento “6 Aprile”, protagonista delle spallate a Mubarak e Morsi, si riorganizzano in attesa dei prossimi sviluppi della scena politica egiziana. “La nostra priorità è sempre la democrazia, la crisi economica si fa sentire ma siamo in mezzo a due leoni, il regime da una parte e i Fratelli musulmani dall’altra”, spiega all’ANSA un responsabile chiedendo l’anonimato. “Cosa dovremmo fare? Scendere nelle piazze e farci sparare da due lati?”, prosegue. Una manifestazione indetta venerdì per protestare contro la liberazione di Hosni Mubarak è stata cancellata all’ultimo minuto, “non volevamo essere la scusa buona per un altro bagno di sangue”, e non ci sono altre dimostrazioni in programma. “La liberazione di Mubarak non ha alcun impatto: nessuno vuole lui e la sua gente di nuovo al potere, il popolo egiziano non lo accetterebbe”, spiega Amal Sharaf, la portavoce ufficiale del gruppo, delegata ai rapporti con i media stranieri. Fa parte del “6 Aprile” dagli albori del movimento, che prende il nome dalla grande manifestazione per lo sciopero generale del 6 aprile 2008.
All’epoca nella città industriale di El-Mahalla El-Kubra, nel Delta del Nilo, una protesta partita con rivendicazioni sindacali si trasformò in una sollevazione contro la rielezione di Mubarak, e grazie agli attivisti di “6 Aprile” e Facebook in particolare divenne uno dei “punti di svolta” nella politica egiziana. La protesta fu repressa con la forza nel maggio del 2008, e diversi leader del movimento finirono a più riprese in carcere, in particolare uno dei fondatori, Ahmed Maher. E quattro giorni fa, nelle stesse ore in cui Mubarak passava la sua prima giornata ai domiciliari in un ospedale militare nel centro del Cairo, la procura generale apriva indagini contro le due più celebri leader di “6 Aprile”, Israa Abdel Fatah – in lizza per il Nobel per la pace nel 2011 – e Asmaa Mahfouz – insignita del Premio Sakharov assegnato dal Parlamento Ue -. L’accusa è grave, spionaggio e decine di milioni di euro da “Paesi stranieri”.
“Sono innocenti, non succederà nulla. Credo siano denunce presentate da ex del regime, non penso che i militari c’entrino qualcosa”, sottolinea Amal Sharaf. In questo momento, all’interno del gruppo c’è una divaricazione sulla strategia da tenere: da una parte la linea della “Terza piazza”, ribadita il 18 agosto scorso da Maher, che da una parte condanna l’uso della forza contro i sit-in dei pro-Morsi a Rabaa e Nahda, dall’altra accusa i Fratelli musulmani di aver creato le condizioni per uno spargimento di sangue che “poteva essere evitato perseguendo ancora la strada del dialogo”. “Questa posizione non è un tradimento del Paese”, ha sottolineato Maher. Dall’altra c’è una linea più ‘dura’, soprattutto nei confronti dei pro-Morsi, accusati di essersi infiltrati nel movimento e di aver portato alla rovina le conquiste della rivoluzione del 25 gennaio contro Mubarak, quando “6 Aprile” e Fratelli musulmani presidiavano insieme piazza Tahrir per cacciare il Faraone. * Claudio Accogli – Ansa