Non sono mancati né gli incidenti né le vittime – almeno quattro – ma in Egitto non c’è stato quel “venerdì nero” che si paventava alla vigilia. Poche centinaia di persone hanno risposto, al Cairo come in altre città, alla chiamata del Fronte Salafita e dei Fratelli musulmani a tornare in piazza, Corano alla mano, per rivendicare “l’identità islamica” e protestare contro il presidente Abdel Fatah al Sisi, fautore nel 2013 della deposizione dell’islamico Mohamed Morsi.
Tanto che, poco prima della preghiera del tramonto, i sostenitori del capo dello Stato hanno festeggiato in piazza Tahrir il “fallimento” delle proteste, con caroselli di auto, ritratti di Sisi, slogan e bandierine distribuite ai bambini.
Il bilancio delle vittime è di quattro morti. Un ufficiale dell’esercito e un soldato sono stati uccisi in un agguato da colpi d’arma da fuoco sparati da un’auto riuscita a fuggire lungo Gesr el Suez road, attraverso i quartieri orientali del Cairo, quando i cortei erano da poco cominciati. Poche ore dopo, i primi scontri tra dimostranti e polizia sono scoppiati davanti alla moschea di Matareya, sempre a est della capitale, dove si erano radunati in 400, secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno. Due i manifestanti uccisi da colpi d’arma da fuoco, durante lo sgombero della polizia. I pro-Morsi hanno accusato gli agenti di usare “pallottole vere”, come del resto era stato annunciato dallo stesso governo, che aveva promesso “tolleranza zero” contro chi avesse messo in pericolo le forze dell’ordine e le istituzioni dello Stato.
In mattinata le forze di sicurezza avevano giocato d’anticipo, arrestando un centinaio di Fratelli musulmani per “incitamento alla violenza”. Oltre 250 gli arresti in diversi governatorati a fine giornata, tra cui manifestanti con “molotov e ordigni”, ha riferito il ministero dell’Interno.* Laurence Figà-Talamanca (ANSAmed).