Dopo una settimana di scontri, una severa messa in guardia è stata rivolta dall’esercito sudafricano, uno dei contingenti della Brigata di intervento dell’Onu operativa in Nord Kivu, alla ribellione del Movimento del 23 marzo (M23). “Questa volta non vi dovete immaginare di entrare a Goma. Che l’idea di riprenderla non vi venga neanche in mente” ha detto il luogotenente generale Derrick Mgwebi, responsabile del comando congiunto sudafricano-Onu. Nelle ultime ore colpi di mortaio esplosi dall’M23 sono caduti nei pressi della base sudafricana stabilita a Munigi, mentre mercoledì ha perso la vita un peacekeeper tanzaniano e dieci caschi blu sono stati feriti, tra cui tre soldati di Pretoria. Per la prima volta le Nazioni Unite hanno dato un mandato offensivo al contingente di caschi blu della brigata, costituita da più di 3000 uomini, di cui 1345 sono sudafricani. Questi stanno sostenendo le truppe regolari congolesi (Fardc), impegnate a rispondere all’ultima offensiva lanciata dall’M23, la ribellione attiva da aprile 2012 e sostenuta da Rwanda e Uganda.
“Abbiamo raggiunto la maggior parte dei nostri obiettivi: le colline attorno a Kibati sono passate sotto il nostro controllo e i ribelli si sono ritirati più a nord” hanno annunciato il portavoce del governo congolese Lambert Mende e il portavoce dell’esercito, il colonnello Olivier Hamuli. La linea di fronte degli ultimi combattimenti si situava proprio a Kibati, a una ventina di chilometri da Goma, da dove i ribelli esplodono colpi di mortaio in direzione del capoluogo regionale. A questo punto l’M23 si sarebbe ripiegato di una trentina di chilometri a nord-est, verso Tchanzu, sopra Bunagana, località al confine con l’Uganda.
Dopo gli ultimi sviluppi sul terreno e le accuse delle Nazioni Unite che hanno condannato gli “spari indiscriminati della ribellione che hanno causato morti, feriti e danni all’est del Congo e nel vicino Rwanda”, l’M23 sembra avere le spalle al muro. Il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha chiesto a tutte le parti coinvolte nella crisi di “dare prova di ritegno”, di “astenersi da ogni azione o dichiarazione che potrebbe causare un’ulteriore deteriorarsi della situazione”, auspicando il rilancio di “un processo politico globale”. Se da una parte la Monusco e la brigata hanno partecipato all’offensiva in corso, dall’altra manovre diplomatiche sono in atto ad alto livello. Il rappresentante speciale dell’Onu in Congo, Martin Kobler, è in visita a Kigali.
Con toni duri, il governo di Kinhasa ha invece invitato la comunità internazionale a “attuare sanzioni mirate ed efficienti nei confronti di chiunque abbia responsabilità dirette nelle atrocità che seminano morte e desolazione in Nord Kivu” ha detto Mende. In una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu tenuta ieri, sono emersi nuovi elementi di prova sul sostegno diretto di Kigali all’M23.
Uno dei motivi del conflitto ventennale nell’est del Congo è il controllo delle sterminate risorse minerarie. Secondo il quotidiano locale Le Potentiel, solo il 15% dei minerali estratti nel paese viene dichiarato alle dogane e alle autorità fiscali dalle imprese del settore. Il dato, che sembra evidenziare una perdita del 85% delle entrate minerarie per lo Stato, è emerso durante la recente visita in Congo del Gruppo ad alto livello contro la fuga dei capitali illeciti in Africa diretto dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki. – Misna