Dodicimila denunce presentate dalle vittime, lo scorso anno, all’autorità giudiziaria algerina per violenze domestiche. Un numero che può apparire elevato, ma che, invece, viene ritenuto solo indicativoper difetto di un fenomeno molto più ampio e complesso e davantial quale le leggi algerine appaiono insufficienti. Un fenomeno davanti al quale il Consiglio dei ministri ha deciso di adottare, pochi giorni fa, un progetto di legge che innalza i livelli di difesa della donna, ma che appare ancora lontano dall’essere realmente efficace, come reclamano le associazioni di tutela della condizione femminile.
Il progetto di legge (di cui el Watan ne pubblica le finalità), partendo dall’assunto che il 60 per cento delle violenze matura in ambiente domestico, prevede un inasprimento delle pene per il coniuge che si renda responsabile di ”violenza, abbandono, o intimidazioni miranti a privare la sposa dei suo beni”. In linea di principio un significativo passo in avanti, se non che il provvedimento di legge prevede una scappatoia assolutoria per il marito o partner manesco o avido se la moglie, dopo averla presentata, ritira la denuncia. Cosa affatto improbabile, se si pensa che la marginalità in cui spesso la donna algerina viene relegata dal contesto sociale la rende particolarmente vulnerabile rispetto alle pressioni che possono derivare, ad esempio, dalla famiglia. Che non sempre è disponibile a prendere atto di iniziative che ne mettono in pericolo l’immagine. Come potrebbe essere la ribellione di una donna alle violenze quotidiane del marito. Tanto che questa clausola ha determinato, secondo quanto ha dichiarato a el Watan, i timori di Nouria Hafsi, segretario generale dell’Unione delle donne algerine, che ha posto l’accento sulla circostanza che la donna, sopraffatta dalla paura di reazioni da parte della famiglia e della società in genere, difficilmente ha il coraggio di denunciare le violenze domestiche se non quando esse diventano insopportabili.
L’iniziativa del governo ha comunque finalità lodevoli e prende spunto dal dibattito pubblico che su questo tema si è aperto. Ma, evidentemente, non focalizza la realtà quotidiana delle donne algerine, determinando le perplessità da parte di chi, come le associazioni femminili, avrebbero preferito che l’azione penale contro il marito o il compagno violento continuasse pur in presenza di un ”perdono” non si sa bene quanto spontaneo o meditato. * Diego Minuti (ANSAmed).