“Controproducente” e “discriminatoria”: sono solo due degli aggettivi che hanno accompagnato la decisione presa lunedì dal governo australiano che ha deciso di sospendere fino a data da destinarsi la concessione di visti per l’ingresso nel paese a tutti i cittadini provenienti dai tre paesi colpiti dall’epidemia di Ebola: Liberia, Sierra Leone e Guinea.
I possessori di visti permanenti e provenienti dagli stessi paesi saranno costretti, a prescindere dalle loro condizioni di salute, a una quarantena di 21 giorni prima di poter entrare in Australia.
“I sistemi e i processi stanno funzionando per proteggere gli australiani” ha detto il ministro dell’Immigrazione Scotto Morrison parlando al Parlamento.
Secca la risposta del ministro dell’Informazione della Sierra Leone che ha definito la decisione “draconiana”, sottolineando come il provvedimento “è discriminatorio…non colpisce ebola ma piuttosto i 24 milioni di cittadini di Liberia, Sierra Leone e Guinea. Non credo sia certo la strada giusta da intraprendere”.
A fargli eco anche il portavoce del governo dell’Uganda, paese che negli anni passati ha affrontato più di un’epidemia di ebola e che proprio in questi giorni ha mandato altro personale sanitario in Africa Occidentale per combattere l’epidemia: “i paesi occidentali stanno creando un panico di massa che non serve assolutamente a contenere una malattia contagiosa come ebola” ha detto Ofwono Opondo, evidenziando come “questo panico di massa passerà dalla gente comune agli operatori sanitari, e quando questo accadrà cosa succederà? Guarderemo intere popolazioni essere cancellate”.
Critiche sono arrivate anche da Amnesty International e da altri gruppi per la difesa dei diritti umani.
Ma sempre ieri era stato il presidente della Banca Mondiale a confermare come “il fattore paura” rischi di diventare sempre più determinante nella capacità di contrastare ebola.
Dopo aver lanciato un appello a medici e personale sanitario di tutto il mondo a recarsi in maniera volontaria nei paesi dell’Africa occidentale colpiti, Jim Yong Kim ha sottolineato come “molti potenziali volontari hanno troppa paura di recarsi in quelle zone” quando invece servirebbero immediatamente almeno 5000 operatori.
“La mia preoccupazione maggiore – ha detto ieri durante una visita in Etiopia insieme al Segretario Generale dell’Onu e al presidente dell’Unione Africana – è dove riusciremo a trovare questi operatori sanitari. Con il fattore paura che sta andando fuori controllo in molti paesi, non posso che sperare che medici, paramedici e personale sanitario si rendano conto che quando hanno deciso di intraprendere il loro percorso professionale lo hanno fatto proprio per poter contare in momenti come questi”. – Atlasweb