† 1860. Religioso lazzarista, nativo della Basilicata, prefetto apostolico e poi vescovo in Etiopia, è un modello di adattamento e di approccio umile alle realtà altrui.
«L’esperienza di questo missionario acquisì i caratteri della eccezionalità, anche agli occhi dei suoi stessi confratelli. Rimasto solo, si sentì più libero di assumere i costumi locali: iniziò a vestirsi come i monaci abissini, apprezzandone molte usanze, la lingua nonché l’antico cristianesimo etiopico. Tutto ciò non tardò a suscitare in molti etiopi, gente del popolo come della corte, un senso di meraviglia e interesse che porterà – nonostante opposizione e persecuzioni violente da parte della nobiltà e dell’alto clero più conservatore – alla nascita di numerose piccole comunità cattoliche. Convinto assertore della dignità del cristianesimo ortodosso etiopico, cercherà a più riprese – senza però riuscirci – di convincere le autorità ecclesiastiche romane della necessità di riconoscere l’antica liturgia etiopica nella comunione cattolica». (Antonio Cataldi, Le missioni cattoliche italiane nelle colone d’Etiopia e d’Eritrea, Edizioni Grifo)