31/05/13 – Tanzania – A Bagamoyo un porto per la Cina

di AFRICA

 

“Il governo non persegue l’interesse nazionale e a Pechino hanno i soldi pronti” dice alla MISNA Eke Mwaipopo, esperto di pianificazione economica con alle spalle una lunga carriera da dirigente pubblico in Tanzania. In gioco c’è il destino di un villaggio di pescatori a 50 chilometri da Dar es Salaam e a due passi da Bagamoyo, l’ex capitale dell’Africa orientale tedesca, che potrebbe diventare uno snodo chiave per i commerci tra i paesi sub-sahariani e la Cina.

Il progetto vale miliardi di dollari e ha avuto il via libera nel marzo scorso, durante una visita in Tanzania del neo-presidente cinese Xi Jinping. In quell’occasione Pechino ha formalizzato un impegno da sette miliardi e 600 milioni di dollari e ribadito l’impegno delle sue società per la realizzazione del porto. Lo scalo sorgerà a Mbegani, 50 chilometri a nord di Dar es Salaam, un paradiso di sabbia bianca e palme esili dal verde intenso. Entro il 2017 il porto dovrebbe essere in grado di muovere 20 milioni di container l’anno e di far attraccare navi per 10.000 unità di tonnellate equivalenti, una capacità quattro volte superiore rispetto allo scalo della capitale economica, a oggi il principale in Tanzania.

I lavori saranno effettuati da società cinesi sulla base della modalità “Build, Operate and Transfer”, un tipo di partnership pubblico-privata promossa dalla Banca mondiale e dalle stesse Nazioni Unite come modello per il finanziamento di opere pubbliche. “Si tratta – spiega alla MISNA Stefano Bettain, un cooperante italiano che vive e lavora a Bagamoyo – di una privatizzazione a termine che permette alla società, in questo caso cinese e dunque fortemente controllata dal governo di Pechino, di progettare, costruire, gestire e soprattutto sfruttare gli introiti derivanti dal porto fino a quando l’investimento effettuato non sarà completamente ripagato”.

Questo tipo di contratto dà una notevole autonomia alle società private che gestiscono il traffico portuale. Un’autonomia tale che in Tanzania diversi esperti hanno sollevato obiezioni. Secondo Mwaipopo, ora dirigente della società di consulenze Amka Consult, i ridotti poteri di controllo da parte dello Stato rischiano di favorire il contrabbando di legno, gas, uranio, tanzanite e altri minerali che si estraggono nel sottosuolo del paese. Un pericolo tanto più forte se si considerano i precedenti della Tazara, la ferrovia che collega l’ex Africa orientale tedesca con i giacimenti di rame dello Zambia. Sono controversi anche alcuni profili giuridici, in particolare l’affidamento in “outsourcing” di infrastrutture di rilievo strategico. “Le norme della Costituzione – sottolinea l’esperto – sono state aggirate con una clausola che prevede la restituzione del porto allo Stato al massimo entro 50 anni”.

Secondo Bettain, a preoccupare è anche l’eventualità che “la Cina utilizzi il nuovo scalo come punto d’appoggio logistico, in particolare per i rifornimenti e i periodi di riposo”. Un precedente c’è già e riguarda Gwadar, uno scalo strategico costruito nel 2007 e tuttora gestito da società cinesi in Pakistan.

In Tanzania, finora, critiche e proteste non hanno convinto chi punta su Bagamoyo. Il professor Lenny Kasonga, docente dell’Università di Dar es Salaam, sostiene che lo scalo potrà diventare polo di riferimento per dieci paesi privi di sbocco al mare, superando per volume di traffico anche i porti di Durban in Sudafrica e di Beira in Mozambico. Secondo lo studioso, insieme con lo scalo dovrà essere realizzata una linea ferroviaria che colleghi Bagamoyo con le regioni interne del paese, la Tazara e altri assi di comunicazione transnazionali. A guardare da questa prospettiva, le stesse zone economiche speciali che sorgeranno a Bagamoyo e altrove non servirebbero solo gli interessi dalla Cina ma anche quelli dell’Africa e delle sue regioni meno sviluppate.

I critici, però, non guardano solo al lato economico. Bagamoyo e Mbegani poggiano su una laguna che ospita coralli, tartarughe, crostacei, delfini e pesci tropicali già minacciati dallo sfruttamento ittico e turistico di questo tratto di Oceano Indiano. La Tanzania Coastal Management Partnership, l’ente nazionale che ha il compito di preservare l’ambiente costiero, ha creato quattro piccole aree protette dove la flora marina può riprodursi al riparo da pescatori e altri ospiti indesiderati. Per questo il direttore dell’organismo, Jeremiah Daffa, si è detto contrario alla costruzione del porto e ha suggerito di puntare invece su un ampliamento dello scalo di Dar es Salaam.

Un ultimo problema è di carattere politico. Alcuni parlamentari dell’arcipelago autonomo di Zanzibar, situato proprio di fronte a Bagamoyo, sostengono che il governo centrale e la Cina dovrebbero dare la priorità allo sviluppo economico e sociale delle loro isole. “Abbiamo porti piccoli e inadeguati – ha detto il parlamentare Omar Ali Shehe – e questa è un’altra ingiustizia”. – Misna

 

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