Le fotografie che oggi campeggiano sui giornali e sui siti elettronici d’informazione sembrano simili, terribilmente eguali, e mostrano i volti di ragazzi che non sono ancora degli uomini: sono i terroristi che ieri hanno cercato di sfregiare la giovane ed immatura democrazia tunisina con degli attentati suicidi che avrebbero dovuto fare due stragi, in un albergo a Sousse e nel mausoleo di Habib Bourghiba a Monastir.
E’ questa la cosa su cui oggi riflettono gli investigatori che si stanno muovendo freneticamente per catturare chi tra i terroristi ed i loro fiancheggiatori è sfuggito all’arresto e, quindi, cercare di evitare nuove sanguinose esplosioni di violenza.
Dopo gli eventi di ieri, che per fortuna hanno provocato solo la morte di un terrorista, saltato in aria sulla spiaggia di Sousse, la situazione in tutto il Paese resta tesa e questa mattina avenue Bourghiba ricordava quella dei giorni della ”rivoluzione dei gelsomini”, con decine di uomini armati, filo spinato e cavalli di Frisia a protezione soprattutto del Ministero dell’Interno, peraltro da sempre supercontrollato. Le macchine sono costrette a passare distanti dall’edificio, così come i passanti che non sembrano prendersela più di tanto, coscienti del momento delicatissimo che attraversa la Tunisia. Ma quello di cui parla la gente è proprio la giovane età dei presunti terroristi, che non sono, come pure qualcuno poteva pensare, espressione della Tunisia più povera, quella marginale ed emarginata, ma vengono da famiglie assolutamente normali, pur se caratterizzate da una forte impronta religiosa.
Come quella di Aymen, il ragazzo che ieri è stato fermato ad un passo dall’entrare nel Mausoleo di Bourghiba, a Monastir, che da padre della Patria riceve il quasi quotidiano omaggio dei tunisini, soprattutto di molte comitive di studenti che arrivano da tutto il Paese. Se non fosse stato fermato, Aymen avrebbe fatto deflagrare lo zaino nero pieno d’esplosivo che portava sulle spalle e sarebbe stata una strage di ampiezza impensabile.
Sino a pochi mesi fa, racconta la madre, Aymed era un ragazzo come gli altri, con qualche problema a scuola, ma niente di che.
Poi è cambiato e, dopo avere cominciato a studiare Scienze della sharia in un’università a distanza, ha lasciato la sua casa per andare prima in Libia, poi in Turchia. Sino a quando non è tornato, senza avvertire la famiglia, sino a quando non ha deciso che doveva sacrificarsi per un ideale folle come quello dell’integralismo armato. Ora, hanno fatto capire alcuni investigatori, forse si sta rendendo conto dell’enormità della cosa che voleva fare. Ora che la sua vita è segnata per sempre. Ma la madre accusa il Ministero dell’Interno: erano a conoscenza di tutto, a cominciare dai suoi spostamenti, e non hanno fatto nulla. Chi è più colpevole: lui o chi sapeva e non lo ha fermato? * Diego Minuti – ANSAmed.