Forse teme che la Corte penale internazionali (Cpi) inizi a interessarsi di lui. O, forse, ha paura solo che qualche suo vecchio amico o sodale finisca nelle maglie del Trubunale dell’Aja. Fatto sta che Yoweri Museveni, Presidente dell’Uganda dal 29 gennaio 1986 (poco più di trent’anni) e con ottime possibilità di essere rieletto nelle elezioni del 18 febbraio, ha sparato ad alzo zero contro la Cpi.
Sabato sera, per la prima volta da quando è stato eletto, Museveni ha partecipato a un dibattito televisivo sfidando gli altri sei candidati. Nel corso del dibattito ha affrontato di petto il tema della giustizia internazionale. «La Cpi non è un tribunale serio – ha detto -. È di parte. Non è equilibrata. Ci sono talmente tante persone che avrebbero dovuto essere giudicati, ma siccome la Corte non è seria, non lo sono state. È per questo motivo che abbiamo perso ogni interesse per essa». Secondo Museveni, quindi, l’Uganda deve lasciare la Cpi. Anzi, avrebbe già dovuto farlo.
A fine gennaio, all’’ultimo vertice dell’Unione africana ad Addis Abeba, i leader africani (Museveni compreso) avevano sostenuto un’iniziativa del Kenya per un ritiro comune dalla Cpi. L’accusa è sempre la stessa: la Corte è un arma che gli occidentali utilizzano contro l’Africa.
Creata nel 2002 per giudicare i crimini di genocidio e di guerra, il Tribunale ha effettuato inchieste solo contro leader di nazioni africane. In questi anni, sono state aperti fascicoli contro politici di Costa d’Avorio, Kenya, Libia, Mali, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Sudan e Uganda. In Uganda, in particolare, ha indagato i capi del movimento ribello Lord’s Resistence Army che hanno insanguinato il Nord del Paese e ora sono attivi in Centrafrica. A inizio gennaio l’ex premier Amama Mbazazi ha accusato lo stesso Presidente ugandese di aver ordinato torture che hanno causato la morte di oppositori. Sarà un caso che ora Museveni vuole uscire dalla Cpi?