«Mandatemeli, questi senza patria scossi dalla tempesta…»
(dalla poesia di Emma Lazarus incisa ai piedi della statua della libertà di New York)
La Danimarca impone un “prelievo” agli esuli. La Tanzania minaccia di respingere gli etiopici in transito per il Sudafrica. La Svezia rimpatrierà 80.000 richiedenti asilo. In Sudafrica, un comizio del re zulu scatena violenze contro i lavoratori dei Paesi vicini. In Italia, dove pur ci si muove per i salvataggi in mare, la depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina (reato peraltro controproducente, secondo la Cassazione) viene procrastinata per… quieto vivere. In Libia – anche quando c’era Gheddafi e anche a prescindere dal traffico di esseri umani – gli espatriati subsahariani erano abitualmente bersaglio di razzismo. Dei rotoli di filo spinato sulle rotte dei Balcani, poi, tutti abbiamo gli occhi pieni.
E potremmo risalire ancora un poco nel passato per ricordare i “pogrom” ivoriani del 1999 ai danni di immigrati di lunga data, burkinabè e altri, come pure l’apocalittica espulsione dalla Nigeria di due milioni di stranieri (ghanesi per metà). Insomma tra Europa e Africa (per non allargarci agli altri continenti) non si notano grandi differenze nel rapportarsi con l’altro su scala sociopolitica.
«Uno sguardo su altri Paesi suggerisce che l’intolleranza stava diventando una caratteristica marcata di parecchie culture, anche distanti tra loro, in tutto il mondo», scrive Philip Jenkins in un libro appena uscito (La storia perduta del cristianesimo, Emi), che tratta delle plurisecolari vicende delle Chiese mediorientali a confronto con l’islam ma proponendo chiavi di lettura che appaiono pertinenti anche per il nostro oggi. Il XIV secolo, in particolare, fu un’epoca di svolta: «Il mondo stava cambiando, e sicuramente in peggio». Perché?
«Se cerchiamo un fattore comune che possa spiegare questa colpevolizzazione simultanea di minoranze vulnerabili – dice sempre il “demografo delle religioni” Jenkins –, il miglior candidato è di gran lunga il cambiamento climatico». Era iniziata la Piccola Era Glaciale, che causava la riduzione delle vie commerciali e incideva sull’agricoltura provocando carestie (cui venne ad aggiungersi la peste). Insomma una grave crisi dove «un mondo spaventato e impoverito cercava capri espiatori» e una «amara esperienza insegnava ai governi di tutte le fedi di non cercare di arginare la rabbia delle folle ai danni delle odiate minoranze»…
Mutamenti climatici, crollo dei prezzi delle materie prime, ruolo delle religioni, flussi migratori, insofferenza per i gruppi minoritari… Ci troviamo oggi immersi in problematiche degne del Trecento. Con, in più, dei volumi di popolazione più ingenti di allora; ma anche con più razionalità, più conoscenze, più mezzi, più ricchezza, più civiltà giuridica… Possibile che nei momenti cruciali non sappiamo reagire se non con il «cervello arcaico»?… Che «ha salvato l’australopiteco – diceva Rita Levi-Montalcini –, ma porterà l’homo sapiens all’estinzione».
Pier Maria Mazzola