01/04/14 – Gibuti – Presidente Guelleh, “ancora due anni e lascio il potere”

di AFRICA

 

“La mia missione è compiuta, tra due anni lascerò la presidenza”: lo rivela in una lunga intervista a tutto campo alla rivista Jeune Afrique Ismail Omar Guelleh, presidente della Repubblica di Gibuti, piccola enclave strategica incastonata tra Eritrea, Etiopia e Somalia.

Al potere dal 1999, il capo dello Stato gibutino rivela, tra le altre cose, i motivi alla base del fallimento nel tentativo di dialogo avviato alcuni mesi fa con l’opposizione che nel 2013 – per la prima volta – aveva partecipato al voto – salvo poi rigettarne i risultati e rifiutarsi di partecipare ai lavori dell’Assemblea Generale.

“Gli esponenti dell’Unione per la Salvezza nazionale (Usn) sono un gruppo eteroclito di persone che non hanno niente in comune” afferma Guelleh, aggiungendo che “la componente più rigorosa, quella dei Fratelli musulmani pretendeva di barattare la partecipazione ai lavori del parlamento con il riconoscimento del movimento come partito politico. Cosa impossibile, a meno di violare la Costituzione”.

In realtà, l’Usn chiede anche un maggior accesso ai media nazionali, il riconoscimento dello status di opposizione e l’estensione delle prerogative della Commissione elettorale nazionale, in modo da garantirne l’indipendenza.

Jeune Afrique ricorda inoltre che Gibuti ospita sul territorio l’unica base americana permanente in Africa sub-sahariana. Ma il territorio è un crocevia militare che accoglie anche – e dietro lauto compenso – basi francesi, italiane, giapponesi, europee a cui si sono aggiunti russi e cinesi.“Da qui al 2028 l’80% delle navi in transito nell’Oceano indiano batterà bandiera cinese e Gibuti sarà la sede da cui proteggeranno le loro linee di approvvigionamento di risorse minerarie” spiega il presidente.

A due anni dal voto, e nonostante la Costituzione non glielo impedisca, Guelleh sostiene inoltre di non volersi ricandidare alla guida dello Stato. “Sono stanco e conosco i miei limiti” risponde, spiegando che la mancata indicazione di un potenziale successore è volta “ad evitare che diventi un bersaglio politico e che bruci le sue chance prima ancora dell’apertura delle urne”. E al giornalista che gli fa notare che “non si è mai visto un capo di Stato che si fa costruire un nuovo palazzo presidenziale dai cinesi per poi rimetterne, domani, le chiavi al suo successore” ribatte laconico: “C’è sempre una prima volta”. – Misna

 

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