Simon Njami (nella foto) è abituato a pensare in grande. Ha accettato l’incarico di commissario della 12° edizione di Dak’Art con l’idea di sprovincializzare l’appuntamento («non è la Biennale dei senegalesi») e rilanciarlo su scala internazionale. «Come succede per Venezia, ogni due anni il mondo dell’arte dovrà mobilitarsi per Dakar». Njami è uno dei curatori più autorevoli nel campo dell’arte contemporanea africana. Nel 1991 è stato tra i fondatori della Revue Noire (priva rivista a dedicata all’arte contemporanea africana) e la sua ultima fatica espositiva, la mostra sulla Divina Commedia vista dagli artisti africani, ha viaggiato tra Europa e Usa raccogliendo grandi consensi. Il titolo-tema per Dak’Art 2016 riprende un verso di Léopold Sédar Senghor: “La città nel giorno blu”, scritto quando il presidente-poeta iniziava a pensare all’indipendenza come a una possibilità concreta. «La città del giorno blu è un’utopia. E’ lontanissima dall’esistente e io volevo rimettere in corsa questo ideale».
La Biennale sarà articolata in tre parti:
1) l’esposizione internazionale, per la quale è stato selezionato anche un artista in conto Italia, Délio Jasse;
2) i contorni («nel senso di ciò che definisce le cose»), che prevede la partecipazione di sei curatori esterni «non eurocentrici», di due paesi ospiti (Qatar e Nigeria) e la “carta bianca” data allo spazio artistico camerunese Doual’art per sottolineare il ruolo della società civile nello sviluppo della creatività africana;
3) il simposio, come lo intendevano Platone o Senofonte, ossia uno spazio di condivisione e confronto sulla nuova ecologia dell’arte.
Previsti anche una serie di interventi «per portare la creatività in periferia» e degli omaggi ad artisti che se ne sono andati, come la fotografa marocchina Leila Alaoui, una delle vittime dell’attentato di Ouagadougou dello scorso gennaio. Tanta carne al fuoco, insomma, e la volontà di assegnare all’Africa contemporanea una centralità artistica e propositiva reale.
Dal 3/05 al 2/06 – dakart.net
(Stefania Ragusa)