In Namibia vivono ancora 13mila tedeschi, figli dei primi coloni che, fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, costituirono l’impero tedesco d’oltremare nell’allora Africa Sud-Occidentale (che dopo l’indipendenza nel 1991, è diventata Namibia).
La lingua tedesca è ancora molto parlata sul territorio, calcolando che la popolazione totale della giovane nazione è di soli 3 milioni di persone. In ogni città namibiana la «germanicità» è presente soprattutto a livello architettonico, ma anche a livello mediatico, culturale ed economico. La comunità tedesca, infatti, possiede un canale televisivo, una radio e anche un giornale interamente nella lingua di Göethe, oltre a organizzare un carnevale e un’Oktoberfest alla «Windhoeker».
Oggi la comunità è ben integrata nel Paese e non ha subito contraccolpi dopo la fine del regime dell’apartheid sudafricano (dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1991, la Namibia è infatti stata parte integrante del Sudafrica).
I locali considerano i «tedeschi» come una popolazione sorella (e più in generale anche la comunità bianca, di circa 100mila persone), ma i diverbi di natura storica sono sempre all’ordine del giorno. «I tedeschi della Namibia vivono con gli spettri del passato. Durante il regime coloniale di inizio secolo non si sono comportati in maniera corretta e oggi si avverte ancora la tensione», spiega Marvin, guida turistica nella chiesa luterana di Windhoek, di etnia herero, un popolo che fu oggetto di una repressione durissima, considerata dagli storici un vero genocidio antesignano della Shoa.
Anche se sono passati più di 100 anni dalle rivolte herero e nama del 1904, la comunità herero continua a rivendicare la strage, pretendendo di ricevere scuse ufficiali dal Governo tedesco nonché un indennizzo economico. «Il Governo tedesco, che ancora non ha riconosciuto il genocidio, ha sì ripagato il Governo di Windhoek, ma non si è mai esposto pubblicamente scusandosi con le comunità più colpite», sottolinea un membro della comunità herero di Katatura, la principale township principale della capitale (creata nel 1959 dai sudafricani per segregare dalla città le comunità autoctone, ragion per cui il nome significa «non vogliamo stare qui»).
Sui giornali locali il dibattito è ancora aperto, anche se, recentemente, Berlino ha deciso di dichiarare i fatti accaduti nel 1904, quando migliaia di herero (si stima fra i 14 e gli 80 mila) e nama persero la vita durante la dura repressione del generale Lothar von Trotha, come genocidio ponendo dunque fine a una discussione diventata ormai secolare.
I tedeschi della Namibia vivono una duplicità particolare. Da un lato, enfatizzano la loro cultura mitteleuropea, ma dall’altro non si sentono uguali ai tedeschi nati in Germania, insistendo sulla loro «africanicità». Sulla questione storica non sembrano molto preoccupati, tante volte addirittura negando i fatti, come lo dimostra anche la letteratura storica in lingua tedesca.
«La Germania ci ha aiutati molto, ha costruito molte strade, ha aiutato lo sviluppo. Non possiamo continuare a recriminarle fatti che nessuno ha vissuto», dichiara una commerciante della piccola cittadina oceanica di Swakopmund. Gli affari e l’economica in Namibia non vanno a gonfie vele. A parte il settore dei diamanti, che sembra non vivere mai la crisi, il Paese sta vivendo una lunga recessione che ne sta impoverendo la struttura sociel ed economica.
«La comunità tedesca ha in mano tutto il settore privato, ma il settore pubblico è quasi inavvicinabile dalla comunità bianca in generale che non è nemmeno rappresentata in Parlamento. Il livello di produttività è sconcertante», commenta Richard, figlio di un tedesco namibiano e una sudafricana. Insomma, ottimi commercianti, i tedeschi della Namibia sono oggi parte ben integrata di uno dei Paesi considerati più stabili di tutto il continente nero. Ma devono ancora fare i conti con il passato.
Filippo Rossi