Alle porte del Sahara, la città di Agadez è un passaggio obbligato per le migliaia che ogni settimana affrontano i viaggi della speranza. E per quelli costretti a rinunciarvi. Qui l’Italia tenta di arginare l’ondata (dal numero 06/2016 di Africa).
Tahoua è una cittadina del Niger, sulla strada che dalla capitale Niamey sale verso Agadez, una delle storiche “porte del deserto”. Ogni settimana vi transitano migliaia di migranti, pronti a tentare la traversata del “mare di sabbia” che, passando per la Libia o l’Algeria, dovrebbe portarli al “mare di acqua”, quello che conduce (se tutto va bene) all’agognata Europa. Capoluogo dell’omonima regione, Tahoua è sede di un caotico e variopinto mercato.
Nell’ingorgo di minibus affollati e autocarri carichi di bestiame, Halilou si fa largo con destrezza in sella alla sua motoretta cinese. Giunto davanti alla bancarella delle sigarette, si ferma e afferra un pacchetto della sua marca preferita. Ne approfitto per chiedergli lumi sul flusso di migranti. «Perché la gente spende cifre folli per un viaggio così pericoloso?». Halilou si fa serio, il suo sguardo si abbassa sul pacchetto di sigarette che tiene in mano: «Vedi, qui c’è scritto che il fumo provoca il cancro, ma io fumo lo stesso. Così fanno anche loro».
Venditori di illusioni
Sulla terrazza di un piccolo ristorante di Niamey, Amadou sorseggia una birra. Da qualche anno si è trasferito in Burkina Faso con la famiglia, ma di tanto in tanto torna in patria per trovare i parenti. Non di rado gli tocca viaggiare su grosse corriere stipate di migranti. Provenienti da diversi Paesi della regione, soprattutto Senegal e Gambia, entrano in Niger per raggiungere la Libia o l’Algeria attraverso Agadez. «Sanno bene cosa li aspetta, ma credono che ne valga la pena». Mi racconta di reti capillari composte da veri e propri “promotori” che pubblicizzano i viaggi della speranza. «Vendono illusioni con la complicità degli agenti di dogana, avidi e corrotti, che per qualche banconota chiudono gli occhi e aprono le frontiere».
Ad Agadez, snodo di ogni traffico sahariano, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) tiene aperto da un paio d’anni un grande Centro di Transito in grado di ospitare fino a mille persone. Lo scopo? Offrire assistenza ai migranti, ma al tempo stesso incoraggiarli a far ritorno volontario nei Paesi d’origine.
L’ultimo bivio
Vigliaroni, operatrice della ong Coopi in Niger, ha le idee chiare in proposito. «L’utilità di questi centri è limitata in gran parte a quanti, dopo i soprusi patiti in Libia, Algeria o Egitto, decidono spontaneamente di rientrare, ma hanno bisogno di assistenza per tornare a casa». In tanti giungono in Niger senza soldi, avendo speso, nei vari passaggi, il magro gruzzolo con il quale erano partiti. Altri vi approdano stremati dalla fatica e dalle malattie. Gli africani che sbarcano in Italia sono già stati sottoposti a diverse “selezioni”: secondo l’ultimo rapporto della rete Global Initiative, solo il 15 per cento dei migranti subsahariani raggiunge il Mediterraneo.
Ad Agadez le strade dei migranti diretti a nord si dividono: le donne sole o con figli a seguito vengono spesso dirottate dai trafficanti verso l’Algeria con la promessa di un impiego da domestiche (e una volta giunte oltre confine, sono costrette a prostituirsi). Gli uomini e i gruppi famigliari vengono indirizzati in Libia. L’ultimo bivio fra le due destinazioni è Séguédine, in pieno deserto. I pick-up usati dai trafficanti possono contenere fino a trenta persone.
Difficile fermarli
L’Italia ci prova a frenare l’esodo: da qualche mese è impegnata in una campagna d’informazione sui rischi, che prevede il dispiegamento lungo le strade nigerine di esperti con il compito di intercettare e dissuadere i “clandestini”. «Ma chi arriva qui ha già fatto tanta strada e tanti sacrifici – obietta Amadou –. E’ difficile che torni sui suoi passi».
Nel Centro di Transito di Agadez, di norma, le persone si fermano solo due o tre giorni: il tempo di organizzare il proseguimento del viaggio. Altri centri, di dimensioni molto minori, sono in pieno deserto, ad Arlit e Dirkou, in posizioni ancora più avanzate. «Sono fondamentali oasi di soccorso in mezzo al nulla», spiega Giuseppe Loprete, responsabile dell’Oim in Niger. «Non possiamo fermare il flusso dei migranti con la forza. Il territorio è vastissimo, le rotte cambiano in continuazione, e poi è giusto che le persone possano scegliere liberamente». Del resto, l’esperienza mostra che quanto più si mettono in atto dei sistemi di controllo, tanto più si forniscono occasioni di guadagno alle organizzazioni criminali. «Quello che possiamo fare è offrire valide alternative alla partenza. Ovvero fare in modo che l’eventuale decisione di emigrare sia davvero una scelta, e non un atto di disperazione».
(Alberto Zorloni)