Dal dialogo tra archeologia e arte contemporanea sortisce una mostra straordinaria, che racconta centomila anni di storia del Sudafrica. A ospitarla, un’istituzione della cultura britannica: il British Museum di Londra. L’allestimento riguarda circa 200 pezzi, in molti casi mai esposti in Europa prima d’ora, diversificati sul piano temporale ma interconnessi su quello semantico, che provano l’inconsistenza scientifica, prima ancora che etica, dei miti usati dalla narrazione colonialista per legittimare l’apartheid. Per esempio, quello dell’empty land, la cosiddetta terra vuota che boeri e inglesi sarebbero andati a riempire di buone pratiche a e civiltà.
La raccolta di statuine e manufatti d’oro nota come tesoro di Mapungubwe (dal 1220 al 1290 capitale del primo Regno del Sudafrica) dimostra la presenza in loco di una società complessa e strutturata e una capacità elevata raggiunta nella produzione artigianale e artistica. La scelta di accostare questi preziosi manufatti alle opere della pittrice Penny Siopis e dello scultore Owen Ndou, artisti sudafricani contemporanei impegnati nella lotta al razzismo, “garantisce” la fondatezza storica delle rivendicazioni anti-apartheid e, al tempo stesso, sottolinea il livello delle fine arts oggi in Sudafrica. L’impianto scelto dai curatori, John Giblin e Chris Spring, permette di incontrare la diversificata e sempre più quotata scena artistica sudafricana (cfr. al riguardo l’Africa Art Market Report) in un’inedita dimensione narrativa, ricca di implicazioni interpretative e politiche. Fino al 26 febbraio.
Info: www.britishmuseum.org
(Stefania Ragusa)