Sud Sudan da sei anni indipendente, ma non c’è nulla da festeggiare

di Enrico Casale
Sud Sudan

Nessun festeggiamento ufficiale. Niente parate. Né discorsi ufficiali. Il sesto anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan, che cadeva ieri 9 luglio, è scivolato nel dimenticatoio. Come se non fosse successo nulla.

D’altra parte non c’è molto da festeggiare. Il Sud Sudan, diventato indipendente nel 2011, nel 2013 è piombato in una spirale di guerra dalla quale non è ancora uscito. Le forze del presidente Salva Kiir, di etnia dinka, e quelle del suo rivale Riek Machar, di etnia Nuer, si sono combattute senza tregua provocando, secondo le Nazioni Unite, almeno 100mila vittime e 3,5 milioni di sfollati. I più fortunati, circa 1,5 milioni, hanno trovato rifugio in Uganda, Etiopia e Kenya; mentre oltre due milioni sono ancora prigionieri del proprio Paese. Secondo le agenzie delle Nazioni Unite, il numero di persone che soffre di gravi carenze alimentari è aumentato dai 4,9 milioni di febbraio a sei milioni nel mese di giugno. L’Unicef, agenzia Onu che si occupa dell’infanzia, ha stimato in circa due milioni i bambini sfollati e più di 2.500 morti dall’inizio della guerra civile.

Agli scontri fra le formazioni militari ufficiali si sommano quelli tra le milizie locali. Spesso molto più cruente. Le imboscate di milizie più o meno connesse al contesto politico nazionale sono sempre più frequenti. Servono soldi per armarsi e per mangiare. Spesso a pagare il prezzo più alto sono le ong. Dal 2013 a oggi 83 cooperanti sono stati uccisi.

«Non ho nulla da festeggiare», ha detto Ariik Majok all’agenzia France Presse. Questo 34enne padre di famiglia, che lavora come guardiano notturno a Juba, non crede più nel sogno di indipendenza. «Non c’è pace né stabilità. La gente muore e i leader creano solo nuovi problemi, io non sono un cittadino felice», ha aggiunto.

 

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