Gli Stati Uniti fanno pressioni sull’Etiopia affinché apra spazi democratici all’opposizione. Solo così, secondo Washington, il Paese africano potrà diventare una «nazione forte, prospera e democratica».
Per voce del suo ambasciatore ad Addis Abeba, gli Stati Uniti, per la prima volta, intervengono ufficialmente nella crisi politica etiope che, a partire dal 2015, ha visto un crescendo di manifestazioni e violenze, segno dell’insoddisfazione degli oromo (l’etnia maggioritaria) e, in parte, degli amhara.
«Ci preoccupano le testimonianze della violenza etnica – ha dichiarato il diplomatico -. Guardiamo con preoccupazione anche la fuga dalle loro terre, a causa delle violenze, delle popolazioni che vivono lungo il confine tra le regioni di Oromia e Somalia, anche se i dettagli di ciò che sta accadendo non sono ancora chiari».
Il messaggio al governo di Addis Abeba è chiaro: intervenite subito nella massima trasparenza per bloccare una pericolosa escalation. «Invitiamo il governo – ha continuato il diplomatico Usa – a condurre un’indagine trasparente su tutte le violenze e a chiamare alle loro responsabilità gli autori di reati. Allo stesso tempo, a livello locale, dev’essere promosso un dialogo con le comunità e bisogna cercare risoluzioni pacifiche ai conflitti latenti».
Il governo ha ammesso che gli scontri lungo il confine delle regioni di Oromia e Somalia dell’Etiopia hanno provocato la fuga di 50mila persone, mentre sono stati segnalati almeno 50 morti. Da più parti nel Paese si chiedono profonde riforme istituzionali e, soprattutto, la fine della lunga egemonia dell’etnia tigrina (minoritaria) sul Paese. Finora però il governo di Addis Abeba ha fatto molto poco in queste direzioni. E, per il momento, la tensione rimane alta.