Sudan, la storia del marinaio che non riesce tornare in Italia

di Enrico Casale
acefalo

I resti di Vittorio Emanuele III e di sua moglie Elena di Montenegro sono rientrati in Italia con un volo militare e sono stati inumati nel Santuario di Vicoforte (Cn). I suoi invece sono in Sudan da 77 anni. Ma lui non era un Re, era solo un marinaio. Il figlio unico di un soldato morto durante la Grande Guerra e di una contadina. Un ragazzo povero, cresciuto nella allora poverissima provincia di Cuneo. Forse è per questo che nessuno finora ha pensato a lui.

Quella di Carlo Acefalo è una storia triste dei tempi della guerra. Nato a Castiglione Falletto da una famiglia povera, perde il papà quando è ancora piccolissimo. Orfano di guerra, non gli viene però risparmiato il servizio militare. Nel 1940, viene così imbarcato sul Macallè, un sommergibile 60 metri, con un comandante, tre ufficiali e 35 uomini di equipaggio, tra i quali lui, Carlo Acefalo.

Quando scoppia la guerra il sommergibile parte dal porto di Massaua, in Eritrea, per la sua prima missione di guerra verso Porto Sudan. La missione si complica subito. È difficile trovare la rotta giusta verso i porti inglesi. Il sommergibile non riesce a farsi strada tra le secche. Inoltre ha un grave guasto. Una fuga di cloruro di metile dall’impianto di condizionamento intossica l’equipaggio. In queste condizioni difficili, il Macallè si infila nella barriera corallina e si incaglia sull’isolotto di Bar Mousa Kebir e si inabissa. Il capitano, intontito, non lancia lo Sos. Così l’equipaggio si trova con scarsissime scorte di acqua e viveri su quello scoglio sotto il sole in mezzo alla sabbia, con molti marinai in preda alle intossicazioni. A bordo di un canotto, tre marinai vanno in cerca di soccorsi. Arrivano a un faro sulla costa, tra Sudan e Eritrea che è in mano agli italiani. Partono i soccorsi. Il 21 giugno del 1940 un altro sommergibile arriva sull’isolotto dove salva tutto l’equipaggio del Macallè, meno Carlo Acefalo che il 17 giugno è spirato, indebolito dall’intossicazione e provato dagli stenti.

Il suo corpo viene sepolto sull’isolotto e di lui nessuno si ricorda più. Fino al 2014 quando il regista italo-argentino Ricardo Preve si trova a Barra Mousa Khebir per realizzare documentari scientifici. Quasi per caso, chiacchierando con una guida locale, viene a sapere di quella tomba di sassi che custodisce i resti di Acefalo. Preve si appassiona alla vicenda e dà vita al progetto «Tornando a casa», un documentario che racconta la storia di questo sfortunato ragazzo che, per uno strano scherzo del destino, è morto in guerra ed è stato sepolto a migliaia di chilometri da casa.

Preve contatta il governo sudanese e, ottenute le autorizzazioni, il 1° ottobre ottiene che la salma sia esumata e data in custodia alle autorità sudanesi in attesa che sia rimpatriata e venga inumata vicino a quella della mamma. Per il momento, però, la bara con i resti del marinaio attende ancora di essere trasferita in Italia. Lui non è un Re e quindi, secondo qualcuno, può ancora attendere.

Condividi

Altre letture correlate:

Lascia un commento

Accetto la Privacy Policy

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.