Martino Ghielmi –inviato della Rivista Africa a Kigali
L’entusiasmo suscitato dall’uscita di Black Panthers è solo il più recente episodio che rivela quanto la questione della rappresentazione di sé sia cruciale per gli africani e gli oltre 170 milioni di afrodiscendenti nel mondo. Saga futurista ambientata in un paese africano mai colonizzato, prospero e tecnologicamente avanzato, mette in luce l’esigenza di una profonda sintesi culturale per il continente.
Per entrare a pieno titolo nella modernità, non ci sono molte altre possibilità: l’Africa deve riconnettersi con le proprie radici, rileggere una storia violenta e complessa e provare ad aprire nuove prospettive di senso. Insomma, rientrare in sé stessi dopo secoli di alienazione culturale, abbandonando irrazionali esterofilie per intraprendere la produzione endogena di elementi materiali (cibo, manufatti) e immateriali (pensiero, valori).
La tecnologia è lo strumento che, per la prima volta, consente ai giovani artisti, creativi e blogger africani di portare questi sforzi di creazione di una nuova immagine di sé di fronte a un’audience globale. Il recente Africa Tech Summit, andato in scena a Kigali il 14-15 febbraio, ha dato la parola ad alcune voci emblematiche di questo processo.
Matthew Rugamba, 27 anni, è il fondatore di House of Tayo: nato sei anni fa come blog per raccontare la bellezza delle culture africane tramite la moda, oggi è un’etichetta fashion che produce accessori di alta qualità interamente made in Rwanda.
Il nigeriano Chidi Afulezi ha invece lanciato aKoma, piattaforma per raccogliere e amplificare le voci dei giovani blogger e storyteller del continente. Consentire ai musicisti di monetizzare il proprio lavoro è invece lo scopo di Boomplay Music. Si tratta di un’app, già scaricata da 16 milioni di utenti, lanciata da TECNO. Un gruppo multinazionale (sede a Hong Kong) fondato da Nnamdi Ezeigbo, arrivato al successo dopo una gavetta iniziata sulle strade di Lagos come riparatore di cellulari.
La tecnologia abbassa le barriere per raggiungere una voce globale, un privilegio prima riservato ai grandi gruppi internazionali, creando nuove opportunità di reddito. Emblematica in questo senso la provocazione lanciata a Kigali dalla ricercatrice kenyota Wandia Njoya: “smettiamola di parlare di ‘creare posti di lavoro’ in Africa. L’impiego fisso è ormai finito, in Africa come nel resto del mondo. Concentriamoci piuttosto su come usare la potenza della tecnologia per dare a tutti la possibilità di creare valore e creare un nuovo immaginario grazie all’immensa energia creativa dei nostri giovani”.