Ogni anno al termine della stagione delle piogge, lo Zambesi esonda e allaga le pianure del Barotseland. In quei giorni i Lozi danno vita a una “regata reale” per mettere in salvo dalle inondazioni il loro sovrano e il tesoro del palazzo reale.
Un’increspatura pervade le pianure alluvionali del Barotseland, in Zambia. Migliaia di persone si sono radunate lungo le vie d’acqua che da Lealui, capitale del regno Lozi, portano alla città di Mongu. Dietro al muro umano scorre lo Zambesi. La folla si agita nervosa: qualcuno allunga il collo, altri sgomitano per farsi spazio, i bambini sgattaiolano tra le gambe per guadagnarsi un posto in prima fila. Nessuno vuole perdersi lo spettacolo. Il rullare dei tamburi tradizionali, detti maoma, preannuncia l’avvicinarsi del corteo reale già dalla sera prima. L’eccitazione cresce man mano che il suono si fa più forte. D’un tratto, fra l’erba rinverdita della savana, compaiono i primi cortigiani che annunciano l’arrivo del sovrano. All’unisono, decine di pertiche sospingono l’imbarcazione reale.
Uscire dall’acqua
Al seguito, migliaia di rematori a bordo di canoe e chiatte accompagnano il trasloco di Sua Maestà. L’appuntamento si rinnova ogni anno, alla fine della stagione delle piogge, quando il tratto superiore dello Zambesi si gonfia di acqua fino a esondare. Alle propaggini occidentali dello Zambia la piena del fiume allaga le campagne abitate dal popolo lozi e costringe il loro re, chiamato litunga, a spostare la reggia in posizioni più elevate e sicure. È a quel punto che avviene il Kuomboka (in lingua locale significa “uscire dall’acqua”). Il litunga abbandona la residenza estiva di Lealui – assediata dal fiume con annessi coccodrilli e serpenti – e attraversa in barca la grande palude per raggiungere il palazzo d’inverno sull’altura di Limulunga, nei pressi di Mongu. La distanza tra le due corti è di circa quindici chilometri, ma il tragitto dura quasi sei ore.
L’intera cerimonia, in realtà, si svolge in cinque giorni, con attività specifiche e un cerimoniale rigoroso (compreso il lunch break). Il ritorno avverrà a metà agosto, con il defluire delle acque. Per il popolo lozi è un importante evento simbolico: la ciclicità temporale, in quanto rinascita, riafferma l’identità di un antico regno i cui confini non compaiono sulle mappe moderne, ma sono ancora evidenti alla popolazione locale.
Vogatori nella savana
Il momento del trasferimento regale viene fissato dagli oracoli tra fine febbraio e inizio aprile, in base al livello delle acque. Per una giornata le umide pianure del Barotseland diventano un quadro policromo in cui spicca il rosso dei berretti tradizionali dei Lozi e il bianco delle magliette dei cortigiani (i colori della tradizione lozi) a contrasto con il verde intenso della prateria.
L’imbarcazione ammiraglia, chiamata Nalikwanda (letteralmente “per la gente”), si fa strada attraverso i canneti, sospinta da centoventi vogatori (selezionati da sessanta capivillaggio). È una sorta di arca dipinta a strisce bianche e nere, dove il bianco rappresenta lo spirito e il nero le persone. A prua, un braciere produce una densa scia di fumo che segnala al popolo la buona salute del sovrano. Il litunga siede al riparo di una tettoia bianca di vimini su cui si trova la statua di un grande elefante, emblema della corte reale. Il sovrano, tramite un sistema di corde e carrucole, può muovere le orecchie e il tronco del pachiderma, salutando in tal modo i sudditi. Dietro l’ammiraglia, segue l’imbarcazione della regina, sormontata dalla statua di una gallina faraona; quindi quelle di principi e principesse, funzionari e dignitari di corte (capiclan e i loro entourage, leader religiosi); e poi i vip stranieri (ambasciatori e le loro famiglie). Chiudono il colorito convoglio le canoe dei semplici sudditi.
Tripudio finale
A metà percorso, l’imbarcazione reale si ferma su un’isola per far riposare i vogatori, i membri della corte e i numerosi illustri ospiti (soprattutto leader politici e diplomatici). Sua Altezza Lubosi Imwiko II, il re dei Lozi, scende dalla chiatta reale protetto da un cordone di guardie. Cammina con passi lenti sotto un ombrello retto da portatori. Al suo passaggio, la gente si prostra in segno di riverenza. I capivillaggio si inginocchiano e applaudono chinando la testa. Dopo una breve sosta, il viaggio continua. Una pioggia fine e tiepida inzuppa i vogatori. «Arien, mesa!». «Dai, più veloce!», comanda il capo delle guardie reali, mentre nubi temporalesche minacciano la teoria di imbarcazioni. È necessario accelerare: con gesti solenni un induna – autorità tradizionale che fa parte della corte – dà ordini ai tamburi reali di intensificare il ritmo che scandisce la velocità di voga.
La città di Mongu è ormai in vista e i vogatori appaiono rinvigoriti dagli incitamenti e dalle acclamazioni del pubblico in delirio. Sotto un diluvio di applausi, il re emerge dalla sua nave vestito con la divisa da Alto Ammiraglio della Marina Militare britannica. La festa continua con danze, discorsi ufficiali, banchetti e udienze. Se nel passato l’annuale migrazione sullo Zambesi ha permesso di salvare molte vite umane (nonché i tesori della monarchia) dall’inondazione, oggi costituisce il simbolo di una cultura antica e orgogliosa che tenta di resistere agli sconvolgimenti della globalizzazione e della vita moderna.
(testo e foto di Franck Charton / LightMediation)