di Giovanni Gugg
A Dakar, in Senegal, è in corso la prima edizione dell’Upec, l’università popolare dell’impegno civico, ossia la riunione dei movimenti sociali africani, organizzata dal 22 al 28 luglio da «Afrikki Mwinda» («Luce d’Africa», o «Africa illuminata»), una piattaforma che raggruppa vari movimenti civili africani. Tra questi, «Y en a marre» («Siamo stufi»), collettivo senegalese composto da rapper e giornalisti attivo fin dal 2011 in opposizione al governo del loro Paese, che ha reso possibile questo primo incontro. All’appuntamento partecipano attivisti provenienti da 20 Paesi africani: dalla Repubblica Democratica del Congo («Lucha» e «Filimbi») al Burkina Faso («Ballai citoyen»), dal Congo Brazzaville («Ras le bol») al Madagascar («Wake Up»), dalla Costa d’Avorio («GT Jeunes») alle Comore («3me voix»), dal Sud Africa («FeesMustFall Movement») al Burundi («Sindumuja»), e altri ancora.
Nel dicembre 2016 a Dakar, sull’isola di Gorée, si era già tenuto un incontro che intendeva creare un quadro d’azione panafricano, che oggi sta dando i primi frutti attraverso, appunto, «Afrikki Mwinda» e, soprattutto, le sessioni dell’Upec, dove gli attivisti del continente stanno raccontando esperienze e scambiando riflessioni su svariate tematiche: la «solidarietà d’azione» tra i movimenti dei diversi Paesi, il rafforzamento di una coscienza civica africana e l’accrescimento dell’immagine dei movimenti sociali, il miglioramento della capacità di azione e di advocacy (risposta rapida / strumenti condivisi / lezioni apprese), la creazione di meccanismi di finanziamento, magari attraverso un fondo comune, come quello per il supporto degli attivisti a rischio.
Particolarmente sentito, nella prima giornata, l’intervento di Khadja Nin, celebre cantante burundese, tra i giurati dell’ultima edizione del festival del cinema di Cannes, in Francia. La raffinata artista ha espresso tutto il suo impegno: «Vivere nel mio Paese, il Burundi, non è più possibile, dunque ho deciso di agire, mi sono alzata perché ho una voce ascoltata, per cui mi sono detta che devo usare questa voce per raccontare quanto avviene». Insieme agli attivisti di «Sindumuja», il giornalista Teddy Mazina e il militante dei diritti umani Pacifique Nininahazwe, Khadja Nin ha osservato che «in Burundi i media ci hanno salvati da una guerra civile etnica; la stampa ha un ruolo cruciale nella democrazia», per poi spiegare il nome stesso del loro movimento: «Sindumuja» significa «non sono schiavo» ed è una frase pronunciata da un vescovo nell’aprile 2015, dopo che Pierre Nkurunziza annunciò di concorrere ad un terzo mandato presidenziale, incostituzionale.
Tra relazioni, workshop e proiezioni di film, in serata si tengono anche dei concerti, come quello dell’ivoriano Tiken Jah Fakoly, che ha infiammato il pubblico col suo reggae militante: «Signor presidente, lascia il potere, io ti dico lascia il potere! Da troppo tempo tu ci fai perdere tempo».
Il tema generale «Cittadinanza e diritto di decidere» sarà ulteriormente indagato nei prossimi giorni con le riflessioni e gli apporti di attivisti e intellettuali africani, che ricorderanno anche Luc Nkulula, leader di «Lucha» (Lutte pour le changement), morto nell’incendio (doloso?) della sua abitazione il 10 giugno scorso a Goma.
Questi movimenti spesso nascono alla vigilia delle elezioni o dei cambiamenti costituzionali con cui determinate élite economico-politiche intendono perpetuarsi al potere. In tutto il continente africano si registrano esperienze di attivismo di questo tipo, sempre più effervescente, in una forma di «radicalizzazione repubblicana», dicono gli organizzatori, che, oltre alle rivendicazioni istituzionali, esprimono preoccupazioni ed investono energie su problematiche sociali, ambientali e culturali. Ad oggi, tutto ciò appare anche come una particolare modalità d’impegno politico alternativa all’estremismo che in passato è spesso sfociato in violenze diffuse, un’esperienza a cui le sessioni dell’Upec intendono dare voce, forza e continuità affinché si possa «rafforzare la rete pan-africana e creare un risveglio globale dei cittadini».
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