Stiamo diventando un paese razzista?

di Raffaele Masto

L’elenco è lungo, inutile ripetere nomi, luoghi, modalità di svolgimento delle aggressioni razziste che hanno riempito le cronache di questi giorni. L’ultima è quella che riguarda l’atleta azzurra Daisy Osakue, figlia di genitori nigeriani colpita ad un occhio da un uovo lanciato da un auto in corsa a Moncalieri, Torino.

Daisy è l’ultimo caso di un lungo elenco di stranieri o di cittadini di origini straniere aggrediti in circostanze che obbligano autorità e opinione pubblica a chiedersi se si tratta di gesti con una motivazione razzista.

Basta questo per pensare che, evidentemente, quelle aggressioni sono il frutto di un clima, di un contesto. Non solo: di un clima e di un contesto nuovo, introdotto nel nostro paese negli ultimi mesi e che prima non c’era o non era così preponderante.

Ormai da mesi infatti non parla che di stranieri, migranti, invasori che devono essere colpiti dalle leggi, dalla polizia, dai giudici.

E’ strano poi che anche i cittadini si sentano in dovere di colpirli? E’ chiaro che la paura diffusa da quella politica diventi bisogno di difendersi anche in proprio e che qualcuno lo faccia.

Insomma il clima e il contesto non sono altro che una strategia politica: diffondere paura per raccogliere voti e consensi. Fa niente se poi quella paura si traduce in un aumento dei casi di violenze e aggressioni razziste.

La domanda che sorge, sempre più pressante, dopo ogni episodio di razzismo è: stiamo diventando un paese razzista? O stiamo diventando un paese dominato dalla paura?

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