Propongo tre punti di riflessione, fra i molti possibili, per capire se “gli italiani” siano o no razzisti.
Razzisti sì, razzisti no. Il dibattito che sta prendendo forma in questi giorni non è ozioso né propagandistico. Ovviamente escludendo le formulazioni general/generiche come “(tutti) gli italiani sono (o non sono) razzisti”, ritengo che sì, siamo alle prese con un’ondata decisamente razzista. E gli episodi di violenza fisica e verbale degli ultimi tempi – anche se forse non tutti ascrivibili a manifestazioni compiutamente razziste – non sono che l’epifenomeno di una questione più profonda, reale anche se tali episodi non si fossero verificati. Provo a riassumere in tre punti.
1. Prendendola alla lontana, ogni essere umano è razzista, almeno in potenza. Perché ogni essere umano, nato e cresciuto in una data cultura, è “naturalmente” etnocentrico. Si tratta probabilmente di un residuo dell’istinto di difesa che ci spinge a essere e sentirci parte di un gruppo – il branco in campo animale, la comunità in campo culturale. E questo non è affatto, in sé, negativo. Il bisogno di sicurezza è, sempre, fondamentale.
Succede però che l’appartenenza a un gruppo si traduca anche in diffidenza, se non ostilità, verso un gruppo diverso (che a un certo punto abbiamo cominciato a chiamare “razza”). Questo, anche in assenza di minacce. Viene poi la storia dell’umanità a dirci che in effetti in molti casi si è passati ai fatti, alla guerra, e ciò sembrerebbe confermare la validità dello sguardo razzista “preventivo” (mentre le minacce e violenze presenti all’interno del gruppo appaiono più veniali).
2. Veniamo all’oggi. È davvero impossibile sostenere che Salvini in prima persona e i suoi complici, attivi o passivi, non stia soffiando sul fuoco del razzismo. Sia promovendolo sia minimizzando i recenti fatti di cronaca, autentici e ingiustificabili. Ingiustificabili agli occhi di chi consideri i diritti umani fondamentali (a partire dagli artt. 1-5 della Dichiarazione del 1948) validi per tutti e tutte a prescindere dalla loro situazione legale o fedina penale. Giustificabilissimi, invece, per chi abbia in testa “prima gli italiani” e bestemmie giuridiche del genere (mi riferisco sempre a cose essenziali come il diritto a salvare e a essere salvati, all’incolumità, al rispetto e considerazione dell’altro a prescindere dal suo sesso, “razza” o religione).
È qui che si situa la pesantissima responsabilità morale di questo governo.
3. E poi, anzi prima, ci siamo noi cittadini “accusati” di razzismo (o da esso sbrigativamente assolti). In base al punto 1, già di per sé questa non sarebbe un’accusa fuori dal mondo, tanto è breve il passo dal “buon” etnocentrismo al razzismo. Io, per esempio, non sono mai riuscito a definirmi antirazzista di fatto (come auspicio, certamente sì). Credo/spero di non essere razzista nei riguardi degli africani (ma chissà, c’è sempre il paternalismo in agguato, che del razzismo è cugino), però sono consapevole di esserlo nei confronti di altri gruppi umani, designabili non in base al “sangue” bensì ad altri tipi di legame (chiamiamoli ideologici – non necessariamente politici). Non per questo, ovviamente, mi metto a lanciare uova negli occhi o ad impugnare pistole da Gian Burrasca contro chi sento “antropologicamente” diverso da me.
Perché è qui il punto. Anche se non fossero stati commessi gli atti (e non dimentichiamo gli omicidi effettivamente andati a segno) degli ultimi tempi, è il pensiero di tanta, troppa, gente comune che è preoccupante. Un pensiero che prima veniva comunicato, quando lo era, sottovoce, e adesso viene brandito con baldanza… banalmente. È ormai diventato frequente che chi non mi conosce parta, al primo approccio, con intemerate contro gli immigrati e gli zingari, quasi contasse di trovare nel sottoscritto un sicuro alleato. Se una ditta deve venire a fare dei lavori in casa, assicura d’emblée che verranno operai italiani. L’agenzia immobiliare per prima cosa assicurerà al locatore che non accetterà proposte da immigrati (ma questa non è una novità). Se c’è un’assemblea locale di cittadini, la prima preoccupazione è avere più forze dell’ordine davanti casa e meno “negri” in giro – anche se poi l’unico fattaccio da tempo immemorabile nel raggio di chilometri è stato un femminicidio (opera del marito, ovviamente).
P.S.: Una delle ricorrenti autodifese è che ci sono anche (molti) immigrati che aggrediscono italiani, quindi, se un bianco fa lo stesso nei confronti di un nero, ciò non può essere tacciato di razzismo. Giustificazione risibile, che non merita, almeno in questa sede, di essere sviscerata. Più seria è la constatazione che l’immigrazione via barcone o gommone ha creato delle grosse problematiche, di serietà diversa a seconda delle città, dei quartieri e delle regioni; che l’Europa è stata assente; che il fenomeno non è governato, ecc. Qui ci sarebbe tanto da dire, e in forma razionale e articolata – e tanti già lo fanno in molte sedi.
Rimane il dato che il “razzismo” emerge anche dai discorsi di coloro per i quali gli argomenti razionali (cifre, analisi, scenari) non hanno, comunque, valore alcuno. È il trionfo della “percezione”, ormai lo sappiamo. Ma come non dire ugualmente che questo è il trionfo della barbarie? E che i fomentatori di questo “cambiamento” ne portano gran parte delle responsabilità?
Pier Maria Mazzola è il direttore responsabile di Africa. È stato direttore di Nigrizia e direttore editoriale di Emi (Editrice Missionaria Italiana). È autore di libri, tra cui Sulle strade dell’utopia (Emi) e Leoni d’Africa (Epoché), e curato Korogocho di Alex Zanotelli (Feltrinelli) e Io sono un nuba di Renato Kizito Sesana (Sperling & Kupfer).