Oggi, 8 dicembre a Orano, la Chiesa proclamerà beati 19 religiosi uccisi in Algeria tra il 1994 e il 1996. In quegli anni, l’Algeria fu teatro di uno scontro feroce tra i miliziani jihadisti e l’esercito algerino. I terroristi del Gia (Gruppo islamico armato) e, in seguito, i gruppi salafiti seminarono morte nelle città e nelle campagne. I terroristi colpirono gli stranieri (sette marinai italiani furono uccisi nel 1994 nel porto di Djen Djen), ma le decine di migliaia di morti di quegli anni di piombo furono soprattutto algerini: giornalisti, scrittori, intellettuali, politici, anche imam. E tanta gente comune. Tra essi, appunto, i cristiani.
I primi a cadere, l’8 maggio 1994, furono padre Henri Vergès e suor Hélène Saint-Raymond. Il 23 ottobre vennero uccise altre due suore. Poco dopo Natale, il 27 dicembre, quattro padri bianchi furono massacrati a Tizi Ouzou. Il 3 settembre 1995 fu il turno di altre due suore. Il 10 novembre venne uccisa suor Odette Prevost. Nella primavera del 1996 sette monaci trappisti di Tibhirine furono rapiti e uccisi. Ancora non sazi di omicidi, i carnefici prepararono l’ultimo agguato contro un uomo di Chiesa e puntarono al bersaglio grosso. Il 1° agosto 1996 fecero esplodere una bomba che uccise il vescovo di Orano, mons. Pierre Claverie.
La vicenda più nota e controversa è quella dei monaci trappisti di Tibhirine. Minacciati più volte, scelsero di non abbandonare il loro convento e di rimanere con la gente povera del posto. Vennero rapiti nella notte tra il 26 e il 27 marzo. Di loro, a fine maggio, verranno ritrovate le teste, rinvenute nei pressi di Médéa, non molto lontano dal monastero. Il Gia rivendicò l’azione, ma alcune indagini misero in evidenza complicità e ambiguità da parte di politici locali, responsabili delle forze dell’ordine e agenti dei servizi segreti. Nemmeno il film Uomini di Dio (2010), diretto da Xavier Beauvois, che racconta la loro vicenda (ed è stato premiato a Cannes), ha sciolto i dubbi.
Non molto diversa la vicenda dell’uccisione dei quattro padri bianchi. Jean Chevillard, Charles Deckers, Alain Dieulangard e Christian Chessel vivevano a Tizi Ouzou, un centro della Cabilia, la regione orientale dell’Algeria abitata in prevalenza da berberi. Jean Chevillard, Charles Deckers, Alain Dieulangard erano anziani ed erano in Algeria fin dai tempi in cui il Paese era una colonia francese. Christian Chessel invece era giovane, aveva 36 anni ed era il pupillo della comunità. Lavoravano con la povera gente. Li aiutavano a sbrigare le pratiche burocratiche. Facevano gli scrivani per gli analfabeti. Ascoltavano i problemi di tutti e, se potevano, aiutavano chi era in difficoltà. La loro dedizione era ricambiata dall’amore della popolazione locale (in quattromila, prevalentemente musulmani, parteciparono ai loro funerali). Quando scoppiarono i primi incidenti tra islamisti e forze dell’ordine, sapevano di essere diventati un bersaglio. Il giorno di Natale 1993 un gruppo di islamisti fece irruzione nella loro comunità. Padre Jean li accolse dicendo loro: «È Natale, stiamo celebrando il Dio della pace». I jihadisti rimasero colpiti da quelle parole e se ne andarono. Torneranno un anno dopo e, questa volta, non avranno più pietà. Li uccideranno tutti e quattro. Probabilmente come rappresaglia per l’uccisione avvenuta qualche giorno prima dei membri di un commando del Gia che aveva dirottato un aereo a Marsiglia (Francia).
La cerimonia di beatificazione dei 19 martiri si terrà nel santuario di Notre-Dame di Santa Cruz a Orano. La scelta della sede ha un valore simbolico perché richiama la figura di monsignor Claverie. La sua morte colpì profondamente l’Algeria perché insieme a lui venne ucciso anche Mohammed, l’autista musulmano. L’immagine in cui si vedono i loro corpi e il loro sangue che si mescola è diventata l’icona del calvario vissuto dalla Chiesa algerina insieme a migliaia di musulmani anch’essi vittime della violenza cieca di quegli anni.
«I 19 – ha detto padre padre Thomas Georgeon, il postulatore della causa di beatificazione – sono stati veramente artigiani della pace, uomini e donne delle beatitudini: è questo il messaggio che la Chiesa porterà all’Algeria, in una celebrazione che non sarà volta al passato, ma che guarderà al futuro e a tutto quello che ancora dobbiamo costruire perché ciascuno possa vivere nella pace e nella fraternità. Non sarà facile per tutti, ma credo che la forte ripercussione di questa beatificazione offrirà alla Chiesa e all’Algeria la possibilità di trasmettere questo messaggio al mondo».