Torna a Milano, tra pochi giorni, il Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina. Ieri è stata presentata la 29ªedizione. Nella sezione Extr’A, dedicata ai film di registi italiani a confronto con altre culture, partecipa My Home, in Libya, lungometraggio firmato da Martina Melilli, che è un piccolo gioiello ricco di sfaccettature.
Martina è nipote di Antonio e di Narcisa, che hanno vissuto a lungo a Tripoli, durante l’occupazione italiana, e che di là sono dovuti partire in fretta e furia, insieme a molti altri, negli anni Settanta, quando il colonnello Gheddafi prese il potere e diede avvio al nuovo corso del Paese.
Martina vorrebbe sapere di più della storia dei nonni, visitare i luoghi del loro passato, riscoprirli nel presente. Ma la Libia oggi non è più raggiungibile. E allora chiede a Mahmoud, un ingegnere di Tripoli conosciuto grazie ai social, un giovane che vorrebbe visitare l’Europa ma non può, di aiutarla e guidarla in una ricognizione virtuale, resa possibile da internet e scandita dallo scambio di vecchie foto e nuovi video.
Martina intervista i nonni e chatta, quando la connessione lo consente, con Mahmoud. Può portarsi fisicamente fino a Lampedusa e da lì guardare il mare, immaginare Tripoli e preoccuparsi per le assenze e i silenzi del suo interlocutore.
MY HOME, IN LIBYA, trailer from Deckert Distribution GmbH on Vimeo.
Allo spettatore giungono, in forma frammentata, piccole tessere di realtà: il mare di mezzo, il viaggio impossibile, la vita quotidiana in tempo di guerra, il colonialismo italiano e, anche, grandi meschinità rimosse, come l’ostilità con cui gli ex coloni, di ritorno, sono stati accolti nel Paese d’origine.
Il racconto, costruito mescolando linguaggi e strumenti comunicativi, ha un passo autobiografico e intimista, che si intreccia necessariamente con la storia, con l’attualità e con questioni esistenziali della contemporaneità, a partire da quella dibattuta e abusata dell’identità e della linea di confine tra “noi” e “loro”.
Dalla scorsa estate, My Home, in Libya, viaggia da un festival all’altro (ha cominciato da Locarno), senza approdare ovviamente mai a una distribuzione capillare. Per questo il nuovo passaggio milanese non può che rallegrarci. Segnatevi la data: 26 marzo alle 17 allo Spazio Oberdan. E, chi può, si prepari per il festival. Dal 23 al 31 marzo: film, mostre, tavole rotonde, presentazioni e dibattiti. Tutto sotto il segno dell’apertura e del dialogo interculturale.