07/10/14 – Nigeria – Per la prima volta zero export verso gli Stati Uniti

di AFRICA

 

La Nigeria, che solo fino a quattro anni fa era uno tra i primi cinque Paesi fornitori di greggio degli Stati Uniti, è adesso il primo ad aver completamente interrotto le proprie esportazioni di petrolio in seguito all’aumento della produzione di idrocarburi avvenuta negli USA in seguito alla cosiddetta ‘shale revolution’ e ai massicci investimenti favoriti dalla nuova politica energetica promossa dall’amministrazione del presidente Barack Obama.

In base ai dati resi noti dal Dipartimento USA dell’Energia, l’interruzione delle esportazioni del greggio nigeriano verso gli Stati Uniti risale a luglio e secondo i dati preliminari per i mesi successivi dovrebbe essere proseguita anche ad agosto e settembre.

Da quando nel 1973 il Dipartimento dell’Energia ha cominciato a rendere pubblici i dati sulle importazioni di greggio verso gli Stati Uniti, questa è la prima volta che neanche un barile di petrolio estratto in Nigeria arrivi nelle raffinerie statunitensi.

Il massimo delle importazioni di greggio degli Stati Uniti dalla Nigeria, sempre secondo i dati del Dipartimento dell’Energia, è stato registrato a febbraio 2006, quando gli USA hanno importato 1,3 milioni di barili di greggio al giorno. La tendenza è andata poi calando, fino al 2012, quando la Nigeria inviava circa 500.000 barili al giorno verso gli USA, restando sempre tra i suoi primi cinque fornitori (insieme ad Arabia Saudita, Canada, Messico e Venezuela).

Secondo i dati del Dipartimento dell’Energia, a gennaio di quest’anno le importazioni dalla Nigeria sono calate fino a 100.000 barili al giorno, per poi interrompersi del tutto a luglio.

La cosiddetta ‘shale revolution’ in corso negli Stati Uniti, secondo i media specializzati, avrebbe colto di sorpresa numerose compagnie petrolifere che si trovano costrette a dover ricercare nuovi compratori soprattutto nei Paesi emergenti dell’Asia.

La Nigeria, per esempio, avrebbe aumentato le vendite del proprio greggio verso Cina, Giappone, India e Corea del Sud del 40% quest’anno rispetto ai livelli registrati nel 2013. * Michele Vollaro – Atlasweb

 

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