Con oltre l’80% delle schede scrutinate, in Sudafrica si hanno ormai dei risultati finali quasi attendibili. Sulla carta e sul piano della governabilità non cambia nulla. L’African National Congress rimane il partito con la maggioranza assoluta. Di fatto però queste elezioni confermano un dato preoccupante: la lenta (e neanche troppo) flessione del partito che fu di Nelson Mandela, che era al 64% nell’ultima consultazione e oggi ha ottenuto il 56,6%. Se questa perdita di voti verrà confermata alla prossima consultazione, l’Anc non avrà più la maggioranza assoluta e avrà bisogno di alleanze per governare. Un fatto clamoroso in un Paese nel quale la stragrande maggioranza della popolazione è nera e storicamente ha votato per l’Anc, il partito della lotta all’apartheid e del leader di quella lotta, Nelson Mandela. Dietro l’African National Congress c’è l’Alleanza Democratica con il 23% dei voti, un partito storicamente bianco ma non legato all’apartheid e oggi guidato da un nero, Mmusi Maimane. Al terzo posto i “Combattenti per la libertà economica” con il 10%. Un partito nato dall’African National Congress e guidato da Julius Malema, un ex membro dell’ala giovanile del partito di Mandela che ha ottenuto voti sull’onda della contestazione interna della leadership – corrotta e in molti casi incapace – che ha guidato l’Anc in questi anni.
Che cos’è accaduto perché si arrivasse a questo risultato? il motivo principale è che la classe dirigente del dopo-Mandela – Tabo Mbeki prima e Yacob Zuma poi, costretto a dimettersi perché sommerso da oltre 200 scandali di corruzione – non è stata in grado di onorare il suo passato. Oggi il Sudafrica è il Paese con il tasso di Hiv più alto di tutto il continente, con una disoccupazione quasi al 30%, con una popolazione nera che continua a fare i lavori più faticosi e meno pagati, come i minatori, e un tasso di insicurezza e violenza altissimo.