La crisi in Sudan si è ormai cristallizzata. La giunta militare, forte dei suoi sponsor stranieri, ha scelto la repressione. L’opposizione e la società civile per il momento si lecca le ferite – i morti ufficiali sono 113, ma da diverse fonti attendibili si parla di oltre duecento, dato che il Nilo ha restituito solo parte dei cadaveri che vi sono stati gettati nei due giorni di repressione.
La crisi in Sudan, insomma, è ormai diventata un conflitto per procura: alimentato, sospinto, finanziato da potenze che hanno una strategia regionale e, dal punto di vista geopolitico, il Sudan è un territorio ambito.
Innanzitutto è inserito in due dinamiche, quella mediorientale-maghrebina e quella del Corno d’Africa. Gli schieramenti sono evidenti, alla luce del sole. Russia e Cina hanno scomodato il loro diritto di veto (lo si fa per i giochi politici di una certa importanza) per non far votare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu una risoluzione di condanna della repressione promossa dagli altri membri del Consiglio.
Ieri la condanna della repressione è arrivata da Qatar e Iran, cioè dall’ala che si contrappone, non solo in Sudan, ai sostenitori dei generali della giunta, cioè Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi. Ovviamente questo è il piano più evidente, ma ci sono più livelli, come sempre, nei quali rientrano anche altre potenze, magari più lontane, magari insospettabili, come Russia e Cina appunto.
Ecco, dunque, che la crisi sudanese non riguarda più solo i sudanesi. Anzi, adesso trovare un compromesso, una mediazione, è diventato più difficile. Lasciati da soli i sudanesi magari ne sarebbero usciti in qualche modo. Del resto gli schieramenti che agiscono in Sudan sono gli stessi che agiscono in Libia, per la quale non si trova un compromesso. Sono gli stessi che agiscono in Yemen, uno dei conflitti più drammatici di questo terzo millennio. Sono gli stessi che agiscono in Siria e che hanno impedito di trovare un compromesso fino ad oggi.
Il Sudan rischia questo destino. Diventare uno dei luoghi nei quali si gioca la composizione del futuro assetto geopolitico di una buona parte del pianeta. Per i sudanesi, per le donne che sono scese in piazza in questi mesi, per quella larga fetta di società civile che da dicembre protesta, che chiede democrazia e libertà, non è una bella notizia.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)