Boom di visitatori, profitti record e prospettive rosee. Gli operatori turistici in Africa hanno più di un motivo per sorridere. Ma molto resta ancora da fare. Luci e ombre dell’industria dei viaggi in un continente ancora da scoprire.
Sessantaquattro milioni di persone hanno visitato lo scorso anno un Paese africano. Nel 2000 erano state 22 milioni. Oggi il comparto del turismo nel continente vale 73 miliardi di dollari (il 3% del prodotto interno lordo) e produce 9 milioni e mezzo di posti di lavoro. Il Marocco, con undici milioni di arrivi, guida la classifica delle nazioni più visitate, seguito a ruota dal Sudafrica con oltre 10 milioni di presenze. Sul podio c’è anche l’Egitto che, secondo l’Organizzazione mondiale del turismo, è la destinazione maggiormente cresciuta nell’ultimo periodo.
Dopo anni di crisi, innescata dalle rivolte popolari del 2011, sono tornati a sorridere gli albergatori sul Mar Rosso e del Cairo, anche se lo spettro del terrorismo tiene ancora lontani molti potenziali visitatori (alla vigilia della Primavera Araba, erano oltre 14 milioni: cinque più di quelli attuali). Anche la Tunisia, a lungo penalizzata dall’insicurezza, torna a conquistare la fiducia degli stranieri: 8 milioni lo scorso anno, un milione in più del 2017.
Nella classifica delle destinazioni preferite ci sono Kenya, Namibia, Tanzania, Algeria, Botswana, Etiopia e Madagascar. Per il futuro si scommette sul successo di Mozambico, Sudan, Uganda, Ciad, Zambia, Angola, Zambia, Zimbabwe, Malawi, São Tomé e Príncipe.
Ottime prospettive
A sedurre i turisti sono la fauna selvaggia e la natura (52%), il mare e le spiagge assolate (31%), le attrazioni culturali e antropologiche (17%). La città più visitata è stata Johannesburg, ma l’80% dei viaggiatori vi è transitato per poche ore (il suo aeroporto è uno hub per l’intera Africa australe). Ci sono poi altre mete, per certi versi insospettabili, come Lagos o Abuja in Nigeria, che attirano soprattutto visitatori “domestici” o “regionali”, spesso legati al cosiddetto “turismo congressuale”. Infatti, se la gran parte dei flussi turistici proviene dall’Europa, a livello continentale si registra una forte crescita del numero dei viaggiatori africani – ormai il 40% del totale –, che appartengono all’incipiente classe media e possono muoversi con più facilità rispetto al passato (per disponibilità di maggiori risorse economiche e di migliori collegamenti).
Le agenzie di viaggio tradizionali (in Italia ne sopravvivono seimila: dimezzate in dieci anni) perdono terreno – ma conservano ancora una bella fetta di mercato – nei confronti dei tour operator (in ascesa quelli africani) che vendono online pacchetti e servizi senza necessità di intermediazioni coi clienti. I margini di crescita delle presenze turistiche sono immensi, se pensiamo che oggi la sola Spagna registra in un anno gli stessi arrivi dell’intero continente africano (il cui peso complessivo vale nemmeno il 5% del traffico turistico mondiale). O che città come Londra, Parigi, Roma o Venezia hanno da sole il doppio dei visitatori di Sudafrica o Marocco. Secondo l’Organizzazione mondiale del turismo, il numero dei viaggiatori stranieri in Africa raddoppierà entro il 2030.
Maggiore competizione
Le previsioni ottimistiche attirano grossi investimenti nel settore alberghiero: le maggiori catene internazionali coi loro brand globali – Marriott, Accor, Hilton, Ibis Style, Radisson Blu – stanno moltiplicando la capacità recettiva (oggi vantano 423 hotel e circa 75.000 camere). E non mancano gli imprenditori locali – specie in Nigeria, Costa d’Avorio, Ghana, Sudafrica e Kenya. In totale, secondo uno studio del World Travel & Tourism Council, gli investimenti nel settore lo scorso sono stati di circa 30 miliardi di dollari: +5% dal 2015.
Non sempre la qualità dei servizi offerti è all’altezza delle aspettative, anche per colpa di management inadeguati, e talvolta le tariffe elevate fanno a pugni con la scarsa manutenzione, tuttavia gli standard migliorano un po’ dappertutto (le recensioni degli ospiti sulle piattaforme web fungono da stimolo per i gestori in contesti di concorrenza crescente). La competizione si fa sempre più dura anche nel settore del trasporto aereo, dove le compagnie europee che un tempo detenevano il monopolio dei collegamenti con le capitali africane oggi devono confrontarsi con altri vettori attivissimi, come Turkish Airlines o Ethiopian Airlines. La battaglia per il controllo dei cieli africani passa attraverso fusioni (Air France-Klm), acquisizioni (nel gruppo Lufthansa sono confluite Swiss e Brussels Airlines) e alleanze strategiche (Sky Team e Star Alliance). Per effetto della concorrenza, le tariffe dei voli hanno cominciato a scendere, specie per le capitali più gettonate. Per favorire gli arrivi alcuni governi stanno ampliando e ammodernando gli aeroporti, la cui limitata capacità ha rappresentato finora un freno all’incremento del traffico.
Molto resta da fare – per incoraggiare gli investimenti stranieri – nello snellimento della burocrazia e della lotta alla corruzione. Ma anche da questo punto di vista i passi avanti degli ultimi dieci anni sono indubbi.
Impatti delicati
Naturalmente il boom dei viaggiatori verso l’Africa pone sfide crescenti e problemi di sostenibilità. Per limitare l’impatto ambientale, alcuni governi hanno deciso di puntare su nicchie pregiate, come quella dei turisti facoltosi, scoraggiando viaggiatori con budget limitati e backpackers (i giovani con zaino in spalla). La Guinea Equatoriale, per esempio, ex colonia spagnola, grande quanto la Lombardia, ha fatto investimenti colossali per costruire hotel di lusso progettati per il turismo congressuale e golfistico.
Viaggi esclusivi sono proposti anche in Ruanda, che di recente ha raddoppiato i costi dei permessi per vedere gli ultimi gorilla di montagna (oggi servono 1500 dollari a testa) e limitato il numero degli ecolodge, lussuosi e costosissimi, realizzati in prossimità della foresta dei Monti Virunga. Una scelta che ha pagato: con 500 milioni di ricavi, il turismo è cresciuto del 30% negli ultimi due anni.
Resta delicato il tema dell’impatto sociale e culturale. Il turismo “selvaggio”, incontrollato, favorisce situazioni di mercificazione delle relazioni sociali, sconvolgimenti culturali, diseguaglianze e insicurezza. Al contrario, laddove sia ben gestito dalle autorità e dalle comunità indigene, incoraggia la crescita economica e il progresso, valorizza le tradizioni e le qualità umane, promuove stabilità e sicurezza. Le parole d’ordine per gli operatori turistici, in Africa ma non solo, devono essere: professionalità, competenza, responsabilità. I nemici da combattere: incompetenza, ignoranza, imperizia. La vera sfida: fare del turismo un volano per lo sviluppo che favorisca la conoscenza reciproca e la coesione tra i popoli.
(Marco Trovato)