Quasi in contemporanea con la notizia che le forze politiche del neo presidente Félix Tshisekedi e quelle dell’ex-Capo di Stato Joseph Kabila hanno raggiunto finalmente un accordo sulla composizione del nuovo esecutivo dopo mesi di trattative, le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto che mette nuovamente in luce le violazioni dei diritti umani nella Repubblica democratica del Congo (RDC).
Sono già 663 le persone che sono state vittime di esecuzioni sommarie ed extragiudiziali quest’anno nella RDC, più della metà delle quali compiute dalle forze di sicurezza. Secondo lo studio dell’Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani (UNJHRO), istituito nel 2008 e nato dalla fusione della divisione per i diritti umani della Missione Onu nella Rdc (Monusco) e dall’Alto commissario per i diritti umani nella RDC, nei sei mesi tra gennaio e giugno, seguiti alle importanti elezioni presidenziali di dicembre, i funzionari della sicurezza e delle forze dell’ordine sono stati responsabili del 59% delle violenze, con almeno 245 omicidi extragiudiziali, come riporta VOA.
Il 41% sono invece attribuite ai gruppi armati, responsabili di almeno 418 esecuzioni sommarie, secondo il rapporto semestrale. Più di tre quarti degli abusi sono stati commessi in province colpite da conflitti.
In totale l’organizzazione ha documentato 3039 violazioni dei diritti umani e abusi in tutta la Rd Congo. Un numero molto alto anche se in calo rispetto alle 3324 dello stesso periodo dell’anno scorso, ha affermato Abdul Aziz Thioye, direttore dell’Ufficio Onu per i diritti umani nel paese, attribuendo il calo al cambiamento della scena politica da gennaio, quando il presidente Felix Tshisekedi ha preso il posto del suo predecessore Joseph Kabila, al potere per 18 anni.
“Tra gli agenti statali, i militari sono quelli che hanno commesso il maggior numero di violazioni, con oltre un quarto del numero totale di violazioni documentate durante il semestre”, ha spiegato Thioye, secondo cui quasi l’81% di queste violazioni sono state commesse nelle aree di conflitto, quasi la metà da agenti statali e l’altra metà da combattenti di gruppi armati. Nel primo semestre dell’anno, inoltre, sono state registrate 461 violazioni legate alle restrizioni allo spazio democratico su tutto il territorio, una diminuzione di quasi l’8% rispetto allo stesso periodo del 2018.