Madagascar: vaniglia, tesoro dolceamaro

di AFRICA

Negli ultimi anni, il prezzo della vaniglia sul mercato mondiale ha subito un’impennata, ma i contadini che la producono e gli operai che la trasformano non ne hanno beneficiato. A dispetto del duro lavoro, vivono sempre sotto la soglia della povertà. 

Nella regione di Sava, nel Madagascar settentrionale, l’inconfondibile fragranza della vaniglia si respira a pieni polmoni. Gli arbusti rampicanti di Vanilla planifolia – pianta tropicale della famiglia delle Orchidaceae – crescono nella penombra della foresta e i coltivatori malgasci controllano i loro frutti aromatici a capsula dal profumo gradevolissimo. Li curano come si trattasse di pietre preziose. Devono farlo, perché la crescita della domanda mondiale di vaniglia – l’aroma naturale più utilizzato al mondo nel campo alimentare e nell’industria cosmetica – ne ha portato il prezzo alle stelle.

Richiestissima

La vaniglia è sempre stata una spezia costosa, seconda solo allo zafferano, ma dai 20 dollari al chilogrammo di sei anni fa si è schizzati agli oltre 500 attuali, più o meno il valore dell’argento. Ogni baccello è oramai un tesoro. Nelle piantagioni di Sava si coltiva l’85% dell’intera produzione di vaniglia malgascia, che a sua volta costituisce l’80% di quella mondiale (il resto proviene soprattutto da Indonesia, Mauritius, Cina e Giamaica).

La spezia, originaria del Messico, dove l’intensa deforestazione ne ha ridotto l’habitat, è giunta in Madagascar nel 1880 per mano dei coloni francesi (che impiantarono la coltura anche nelle vicine isole Comore, di Mauritius e della Riunione). Oggi rappresenta la principale voce dell’export. L’anno scorso ne sono state esportate quasi 2000 tonnellate (la metà in Europa) per un incasso di 894 milioni di dollari. A guadagnarci non sono i contadini della quarta isola più estesa al mondo, né gli addetti alla trasformazione del prodotto, bensì le poche compagnie esportatrici, in gran parte straniere (come la statunitense Virginia Dare, cui si riferiscono le foto di questo servizio), che processano la vaniglia e la vendono ai grandi brand occidentali e asiatici del cioccolato, dei gelati, dei dolciumi e dei profumi.

Impollinata a mano

Ai braccianti restano le briciole: tra il 5 e il 10% del valore di mercato. È comunque una potenziale piccola fortuna per gli agricoltori e gli operai malgasci, che vivono in una delle nazioni più povere del mondo, politicamente instabile e poco sviluppata, dove il 78% dei suoi 25 milioni di abitanti sopravvive con meno di 2 dollari al giorno e metà dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione cronica.

Sono sempre di più i malgasci delle fasce più povere che abbandonano le colture di sussistenza come riso e manioca per concentrarsi sulla più lucrativa orchidea della vaniglia, che li rende però più vulnerabili ai risultati stagionali delle coltivazioni e alle imprevedibili oscillazioni del mercato. Non solo: secondo gli ambientalisti, l’aumento della richiesta e la crescita dei prezzi nei mercati globali stanno generando una situazione drammatica, con il taglio indiscriminato di aree boschive per fare spazio a nuove piantagioni.

La produzione della vaniglia è molto delicata, richiede tanta manodopera e presenta numerosi rischi. Queste sono tra le ragioni principali che giustificano un prezzo così elevato. Poiché in Madagascar non esistono le api melipona a fecondare i fiori, l’impollinazione va fatta a mano, ed è particolarmente impegnativa a causa della forma del baccello. Fu uno schiavo di nome Edmond, sull’isola della Riunione, a inventare nel 1841 il metodo ancor oggi utilizzato per impollinare il fiore, utilizzando un bastoncino di bambù. L’intervento va compiuto nell’unico giorno in cui il baccello si schiude e i fiori sbocciano (tra ottobre e novembre).

Procedimento laborioso

Come non bastasse, la pianta impiega tra i due e i quattro anni per giungere a maturità, e dopo dodici non produce più. Devono poi trascorrere ben nove mesi fino alla maturazione del baccello verde e alla raccolta, seguita dal processo di trasformazione. Per ottenere l’aroma che conosciamo, il fiore deve essere sottoposto a un lungo e complesso trattamento, che può durare mesi. In Madagascar si usa il cosiddetto metodo Bourbon, che prevede l’immersione dei baccelli in acqua bollente per arrestare le loro funzioni fisiologiche come la respirazione. In questa fase vengono fermati i cicli metabolici, e i vari enzimi entrano in contatto con la glucovanillina e altre molecole presenti nelle cellule, condizione necessaria per creare il piacevole composto aromatico. Il prodotto viene quindi esposto al sole per eliminare l’umidità e protetto con coperte durante le ore notturne per permettere una leggera fermentazione. L’aroma comincia a formarsi. I polifenoli si ossidano e il baccello diventa di color marrone scuro. Terminata la fase di asciugatura, i baccelli, ormai di forma allungata, vengono messi in casse e lasciati riposare per vari mesi.

Le reazioni chimiche di formazione dei vari aromi durante questo periodo continuano. Prima che la vaniglia sia spedita, gli operai controllano uno ad uno i bastoncini neri e separano i baccelli in base alla qualità (sono classificati in sei categorie: da quella extra – i baccelli hanno un colore scuro uniforme e senza macchie – sino a quella inferiore: baccelli dal colore rossastro, rugosi e rinsecchiti). Per un chilo di vaniglia nera servono dai 5 ai 6 chili di vaniglia verde. Per questo il Madagascar non è stato scelto solo per il suo clima perfetto, ma anche perché offre una vasta manodopera a bassissimo costo: l’ideale per rendere proficuo un procedimento laborioso.

Business per pochi

La “febbre della vaniglia” ha originato traffici e criminalità. Sempre più spesso i coltivatori si svegliano e trovano le loro piantagioni o i magazzini spogliati del raccolto dai ladri, che lo rivendono sul mercato nero della capitale Antananarivo. A ciò si aggiungono i frequenti eventi climatici avversi che danneggiano o distruggono le piantagioni. Per questo i contadini, che vivono nel costante timore di perdere tutto, organizzano ronde notturne e raccolgono i baccelli prima del tempo, abbassandone però la qualità.

Ma il boom della vaniglia non si spiega solo con quanto detto sopra. Negli anni Ottanta il suo costo era basso perché erano stati sviluppati dei surrogati. Poi, nell’ultimo decennio la richiesta di ingredienti naturali da parte dei consumatori occidentali ha fatto impennare la domanda. I contadini malgasci che si erano dati ad altre colture sono tornati alla vaniglia, ma per tornare a regime con scorte sufficienti a soddisfare la richiesta ci vogliono anni. In più, i violenti cicloni tropicali che hanno colpito periodicamente la regione di Sava hanno danneggiato i raccolti e ridotto la produzione anche del 35%.

Tutto ciò giustifica parzialmente il boom del prezzo perché, secondo diversi esperti, in realtà è il quasi-monopolio malgascio gestito da un numero limitato di compratori e distributori a speculare sul prezzo. Ad approfittare del business ci sarebbero anche i traffici illegali. Secondo ong locali, affaristi cinesi acquistano grossi quantitativi di vaniglia in ariary (la moneta malgascia) per poi rivenderla in dollari, riciclando così il denaro sporco. Intanto, i contadini che lottano per ogni baccello, e gli operai impiegati nelle fabbriche per due dollari al giorno, conoscono poco o niente il sapore della vaniglia, che non fa parte della loro dieta abituale di pesce, carne di zebù e riso. Sanno soltanto che devono proteggerla come un tesoro, a ogni costo, se vogliono sopravvivere.

(Marco Simoncelli)

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