È morto Jacques Chirac. Ex sindaco di Parigi ed ex presidente della Francia, ha avuto un rapporto speciale con l’Africa. Un rapporto tutto incentrato alla strategia della «Françafrique», fatta di relazioni opache, interessi economici e politici mai del tutto chiari. Chirac ha avuto ottime relazioni con molti presidenti africani: il gabonese Omar Bongo Ondimba, il congolese Denis Sassou-Nguesso, il togolese Gnassingbé Eyadéma, il burkinabe Blaise Compaore e l’ivoriano Henri Konan Bédié. Tutti questi leader africani sapevano di poter contare su Chirac e sulla sua amicizia speciale.
Per le sue relazioni con il continente africano, Jacques Chirac, una volta salito all’Eliseo, è tornato ad affidarsi a Jacques Foccart. Discreto e influente consigliere africano dei presidenti De Gaulle e Pompidou, è stato l’architetto di una decolonizzazione in cui la Francia ha perso la gestione diretta dei Paesi, ma ha conservato la sua influenza politica e i suoi interessi economici in Africa. Foccart è stato richiamato in servizio all’età di 82 anni, nel 1995, e ha lavorato con Chirac fino alla morte due anni dopo. Altro grande alleato di Chirac è stato il presidente ivoriano Felix Houphouet-Boigny. Padre dell’indipendenza ivoriana – dopo essere stato ministro in Francia – ha rappresentato un fedelissimo alleato di Parigi in numerose crisi politiche nell’Africa occidentale.
Non a caso, come riporta il quotidiano Le Monde, è stato ad Abidjan che Jacques Chirac ha pronunciato nel febbraio 1990, mentre era sindaco di Parigi, questa frase molto discussa e discutibile: «Il sistema multipartitico è una sorta di lusso che i Paesi in via di sviluppo, che devono concentrare i propri sforzi sulla propria espansione economica, non possono permettersi». Come dire che l’Africa non può permettersi la democrazia e deve accontentarsi di regimi dittatoriali (i cui leader, ovviamente, sono amici di Parigi).
La Costa d’Avorio è stata anche la grande crisi africana con la quale ha dovuto confrontarsi Chirac. Poco dopo il tentativo di colpo di stato del 19 settembre 2002, il presidente Laurent Gbagbo ha accusato Parigi di manovrare nell’ombra per rovesciarlo. La tensione è stata alimentata in particolare dal rifiuto francese di applicare l’accordo di difesa esistente tra i due Paesi. Per Gbagbo, l’esercito francese avrebbe dovuto dare una mano ai soldati ivoriani, sulla base del fatto che gli aggressori erano partiti da uno Stato vicino, in questo caso il Burkina Faso. Chirac ha rifiutato il sostegno, con il pretesto che si trattava di una crisi politica interna in Costa d’Avorio.
La tensione ha raggiunto l’apice nel novembre 2004 dopo il bombardamento della base militare francese di Bouaké da parte dell’aviazione ivoriana. In quel momento, Parigi ha iniziato a prendere seriamente in considerazione di catturare Gbagbo e di sostituirlo con il suo capo di stato maggiore. Il tentativo è fallito, ma i rapporti franco-ivoriani sono stati incrinatiper molti anni.
Chirac è stato anche il padrino protettore di Faure Gnassingbé, figlio del dittatore togolese Eyadema. Chirac ha favorito la sua ascesa attraverso un colpo di Stato costituzionale. L’opposizione togolese non ha dimenticato ma, più in generale, a rimanere compromessa è stata la stessa immagine di Chirac sempre più visto come un uomo incapace di sbarazzarsi delle vecchie logiche coloniali.
Ma è lo stesso Chirac ad aver fatto autocritica. Nel 2008 ha dichiarato che «gran parte del denaro che è nel nostro portafoglio proviene dallo sfruttamento dell’Africa» . E ha aggiunto: «Quindi dobbiamo avere un po ‘di buon senso, non dico generosità, un po’ di buon senso, giustizia, per restituire agli africani ciò che abbiamo preso loro». Un pentimento tardivo?