Strappare le donne alla tratta e allo sfruttamento, in primis quello sessuale, ma anche quello sul lavoro. Questo il compito che si prefigge un programma della regione Emilia Romagna, che attivo a Modena dal 1997, nella città tramite l’associazione Casa delle Donne contro la violenza, segue donne a rischio, principalmente migranti.
Generalmente sono ragazze nigeriane, mi racconta Marianna Toscani, operatrice di accoglienza alla Casa delle Donne contro la violenza. Marianna ha iniziato il percorso durante un tirocinio universitario di Antropologia delle migrazioni all’Università di Modena.
Si nigeriane, ma non solo, continua Marianna, anche di altri paesi dell’africa subsahariana, ragazze arrivate qui con percorsi migratori via terra e via mare e finite nella rete delle varie mafie. o dal Brasile, Tailandia, e dai paesi dell’Europa Orientale, anche se la prostituzione delle donne dell’est sta diventando più invisibile, dato che l’ingresso nella UE dei paesi di origine, e quindi la possibilità di libero movimento all’interno dell’Unione, nasconde il fenomeno. Al contrario le donne africane, in particolare, sono soggette all’assoggettamento per non avere documenti di identità.
Mettere insieme un progetto condiviso, per vivere questo periodo di vita sotto protezione, in anonimato, e costruire un futuro di lavoro e creatività. Quindi pomeriggi spesi insieme, discutendo su tematiche forti riguardanti le situazioni di sfruttamento lavorativo e sessuale, condividendo le abilità di ciascun partecipante, senza differenza tra operatrici e migranti, senza un noi e un loro. Nasce il progetto “L’atelier delle libertà”. Un anno fa!
E parte con una decina di donne. Il numero non si è mantenuto costante e ci sono stati avvicendamenti, dato che alcune donne, finendo il percorso di protezione hanno cambiato città, o non hanno avuto la possibilità di continuare in questa esperienza.
Difficoltà certo, ma insieme si riesce a fare tante cose, e si cominciano a condividere le abilità e trovare le piste di lavoro e i finanziamenti per poter lavorare. Questi arrivano grazie al contributo economico raccolto dal Vday di Modena che gli ha destinato i proventi di uno spettacolo teatrale.
foto di Michele Lapini 2019
E quindi si arriva a questo “Open Day” a Villa Ombrosa, la nuova Casa delle Donne di Modena. Open Day che non è però una conclusione, ma l’inizio di una nuova fase del progetto: passare dalla fase di apprendimento e crescita personale alla possibilità di far diventare queste abilità e passioni una vera e propria professione.
Parrucchiere, truccatrici, tatuaggi all’henné, massaggi, queste alcune delle capacità che si sono rivelate nelle ragazze che hanno preso parte all’iniziativa. Una ricerca di un futuro con la creazione di uno spazio lavorativo regolare, dove queste donne, possano esprimersi e mettere in pratica le abilità professionali che hanno portato con sé e sviluppato in questo periodo.
Tutto questo percorso laboratoriale è stato seguito fotograficamente da Michele Lapini, fotografo indipendente che lavora su temi sociali e delle povertà. Michele viene a conoscenza del progetto dalla sua compagna che è operatrice d’accoglienza al centro antiviolenza di Modena e comincia a seguire i laboratori del martedì sia per documentare il percorso ma anche per creare una piattaforma dove le ragazze possano mettere in mostra i propri lavori, e quindi poter avere delle possibilità lavorative. Particolarmente egli segue gli ultimi sei mesi del progetto, quelli in cui si è passato dagli aspetti culturali a quelli più “intimi”, dove si disvela il senso profondo della cura del proprio corpo, dei propri capelli, come momento di rinascita dopo le umiliazioni subite.
E allora un momento di festa, con l’esibizione delle ragazze (purtroppo per motivi di sicurezza non possiamo mostrarvi i loro volti), preceduta da esibizioni di cori al femminile, Core voci indisciplinate e Le Chemin des Femmes, la mostra fotografica di Michele Lapini e il buffet preparato dal “progetto Cucine Migranti”
(Dante Farricella)
Altre immagini della giornata e dell’esibizione dei cori su Facebook – A different eye (clicca qui)