L’azione dell’Italia verso l’Africa in questi sette anni ha sicuramente sofferto di un deficit di attenzione. Appare infatti evidente che nonostante i molti passi in avanti fatti, il Sistema Paese abbia dimostrato una forte «incapacità a concentrarsi» sull’Africa
«L’Africa soffre ancora di un deficit di attenzione e investimenti, anche a livello politico»: a dirlo è stato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in una lunga intervista di fine settembre a Il Sole 24 Ore. «Io sono stupefatto […] no scusi, ormai sono troppo vecchio, ne ho viste troppe […] diciamo che sono sempre stupefatto dal fatto che siamo così ossessionati da questi sbarchi e ci preoccupiamo così poco delle loro cause: economia, clima, politica, guerra», ha proseguito Grandi nella sua conversazione, che ovviamente è andata avanti incentrata sulla questione rifugiati, migranti e affini, anche se non si ricorda mai abbastanza che migranti e rifugiati sono due cose completamente diverse, ma non è questa l’occasione per affrontare la questione.
La prima frase dell’intervista a Grandi mi ha fatto pensare. Da quando sette anni fa è iniziata l’avventura editoriale di Africa e Affari, sono cambiati sette ministri degli Esteri e si sono alternati un buon numero, non equivalente, ma comunque interessante considerando il corto lasso di tempo, di governi, anche di diversi colori. A quel punto l’affermazione di Grandi nella mia testa si è trasformata in domanda: «L’Africa soffre ancora di un deficit di attenzione e investimenti, anche a livello politico?». In Italia credo proprio di sì.
Certo se devo tracciare un bilancio è innegabile che l’attenzione, tanto a livello politico quanto a livello economico, sia aumentata. Lo stesso nuovo ministro degli Esteri, Luigi di Maio, sembra confermare questa nuova attenzione, se nel suo primo atto pubblico (il suo messaggio di saluto al personale della Farnesina) scrive che «attenzione prioritaria sarà dedicata alle sfide e alle urgenze più immediate, come il Mediterraneo allargato, l’Africa e la questione migratoria […]. L’Africa, in particolare, non può essere più vista solo come motivo di preoccupazione, bensì come opportunità per individuare nuovi partner strategici attraverso i quali incrementare lo sviluppo e la crescita del nostro Paese».
Più volte abbiamo monitorato, analizzato e reso atto degli innegabili sforzi che si stanno compiendo per guardare all’Africa in modo nuovo. Però la frase di Grandi continua a rimbalzarmi in testa. A darmi da pensare è soprattutto il concetto di «deficit di attenzione».
Il deficit di attenzione venne descritto per la prima volta nel 1845 dal medico Heinrich Hoffman in un libro intitolato The Story of Fidgety Philip, un’accurata descrizione di un bambino iperattivo, ma venne riconosciuto come un problema medico solo nel 1902. Da allora il deficit di attenzione è stato definito in gergo clinico come Adhd e «consiste in un disordine dello sviluppo neuro psichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi».
Ecco l’azione dell’Italia – ma non soltanto dell’Italia – verso l’Africa in questi sette anni ha sicuramente sofferto di un deficit di attenzione. Appare infatti evidente che nonostante i molti passi in avanti fatti, il Sistema Paese abbia dimostrato una forte «incapacità a concentrarsi» sull’Africa, a concentrare i propri sforzi, a dare continuità e a costruire e dotarsi degli strumenti necessari per operare. Come un bambino iperattivo e impulsivo, il governo di turno ha sempre cominciato a guardare l’Africa con occhi nuovi e interessati, salvo poi distrarsi richiamato da altre attività: l’Europa, la politica interna, i migranti, Trump, la Cina, ecc. Credo che dietro questo atteggiamento vi sia la convinzione che alla fine in Africa le cose procedano lentamente e quindi è consentito distrarsi. Ci auguriamo che un cambiamento, concetto tanto caro agli ultimi governi, arrivi davvero e porti con sé un’attenzione e una costanza nuova, ma soprattutto una strategia e un piano vero dell’Italia verso l’Africa.
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Massimo Zaurrini, dal 2002 al 2011 lavora per l’agenzia di stampa internazionale Misna, per la quale si occupa principalmente di Africa. Collabora con varie testate italiane e internazionali, in qualità sia di giornalista sia di opinionista con radio e televisioni. Dal 2015 è membro del Comitato d’Orientamento del Centro Relazioni con l’Africa (Cra) della Società Geografica Italiana (Sgi). Con Infinito Edizioni ha pubblicato due libri dedicati all’Africa: Savané. Bambine soldato in Costa d’Avorio (2006) e La radio e il machete. Il ruolo dei media nel genocidio del 1994 in Rwanda (2012). È direttore responsabile di InfoAfrica (servizio di informazione e consulenza dedicato agli sviluppi economici e politici dell’Africa), di Africa e Affari (mensile dedicato all’economia e alla politica africana), e di Atlas (il primo quotidiano italiano online interamente dedicato agli esteri).