È di almeno 67 morti il bilancio degli scontri e delle violenze etniche in Etiopia durante le proteste contro il premier Abiy Ahmed, vincitore proprio questo mese del Premio Nobel per la Pace.
Gli scontri e i morti di questi giorni erano quasi attesi, previsti. Sono l’evoluzione di una protesta nata qualche mese fa, che il governo e il premier non sono riusciti ad arginare. Le riforme di Abyi Ahmed, evidentemente, hanno scontentato molti, a cominciare dalle due etnie dell’altopiano, gli Amhara e i potentissimi Tigrini che il premier ha praticamente privato delle leve del potere. In questi giorni a protestare però sono gli Oromo, la stessa etnia del premier, che in Etiopia sono sempre stati estromessi dal potere.
La protesta degli Oromo ha anche un leader. Si chiama Jawar Mohammed, 33 anni, giornalista, fondatore di una rete televisiva con quasi due milioni di follower sui social. Tutto è cominciato quando la polizia ha minacciato di togliergli la scorta. Sono scattate le proteste con l’accusa che il premier progettava di farlo uccidere per eliminare un rivale pericoloso.
Dietro agli scontri etnici e alla lotta per il potere c’è un problema di fondo, quello della terra. Addis Abeba è una città che cresce in modo abnorme. Ha bisogno di spazio e la terra che c’è intorno è quella degli Oromo, che ora rivendicano a loro volta più potere e risarcimenti. Abiy Ahmed deve fare l’acrobata e non è detto che riuscirà a trovare un equilibrio.
Il Nobel assegnatogli voleva proprio rafforzare il premier e il suo processo di riforme interno che deve pacificare etnie che per decenni si sono confrontate. Ce n’è bisogno, non solo per l’Etiopia ma per tutta la travagliata regione del Corno d’Africa.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)