Il verbo corretto sarebbe abrogare, ma a pronunciarlo sono solo coloro che si occupano seriamente e direttamente di politiche migratorie, impegnati a smontare le trappole poste lungo il cammino di migranti, rifugiati, richiedenti asilo. Nel dibattito pubblico – politico e mediatico, in Parlamento come nelle piazze – invece è un imbarazzante saltare di palo in frasca tra modifiche, cambiamenti e altri termini deboli e inutili.
I decreti sicurezza, il primo e il secondo, vanno abrogati, spiegano sociologi, economisti, sindacalisti, esperti, avvocati, magistrati. E in attesa che legislatori e politici prendano in mano la materia per costruire una risposta adeguata a un fenomeno,che non ha nulla di emergenziale, i due testi che portano l’impronta della propaganda salviniana vengono man mano smontati dalle sentenze.
L’ultimo intervento arriva alla vigilia di Natale. Il Tar del Veneto ha stabilito la non retroattività del provvedimento per quanto riguarda sia la protezione umanitaria sia il diritto all’accoglienza. I giudici amministrativi veneti hanno potuto rifarsi alla sentenza n. 29460/2019 della Cassazione che a novembre, a sezioni unite, aveva sancito che la normativa “non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge”.
A loro volta, le sezioni unite hanno in questo modo confermato l’impianto di un’altra importante sentenza della Cassazione, la n. 4455/2018, che, in attuazione dell’art. 2 della Costituzione e dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, aveva riconosciuto il diritto al rilascio di un permesso per un gambiano per motivi di integrazione sociale e per l’esposizione ad una situazione di particolare vulnerabilità che si sarebbe prodotta nel caso di allontanamento verso il paese d’origine, stante la grave compromissione dei diritti umani lì presente.
A ottobre la Corte d’Appello di Milano aveva accolto il ricorso di un giovane senegalese al quale era stato negato lo status di rifugiato ma che nel frattempo aveva intrapreso un percorso di formazione professionale, promosso dall’Anolf Cisl del capoluogo lombardo nell’ambito del progetto europeo LabourInt, poi sfociato in un contratto di lavoro. I giudici milanesi hanno ritenuto che negare a Samba la possibilità di rimanere legalmente in Italia ed esporlo a un’espulsione verso il paese d’origine avrebbe avuto gravi conseguenze per la sua integrità personale, escludendolo dai rapporti sociali costruiti nel frattempo e ributtandolo in uno stato di povertà tale da privarlo di diritti fondamentali, come l’accesso al cibo e a un tenore di vita dignitoso.
I Tribunali di Roma, Bologna, Catania, Lecce, Cagliari e tanti altri hanno invece riconosciuto il diritto del richiedente asilo all’iscrizione anagrafica: inizialmente solo alcuni sindaci si erano espressi contro la negazione di questo passaggio, provocando le reazioni inferocite dell’allora ministro dell’Interno.
I punti critici delle due leggi vanno ben oltre i due rilievi mossi dal Presidente della Repubblica all’atto della firma del Decreto bis. La prima e più importante osservazione di Mattarella fa riferimento all’ammenda amministrativa che arriva fino a 1 milione di euro per chi salva i migranti, in palese violazione con la Convenzione di Montego Bay per la quale “ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batta la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio e i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizione di pericolo”.
Ma a essere violati sono tanti altri diritti riconosciuti da leggi e trattati internazionali e nazionali: la Carta di Amburgo del 1979, e altre norme, sullo sbarco in “porto sicuro”; la Convenzione di Ginevra che vieta le espulsioni collettive; la direttiva europea del 2004 che ha introdotto la protezione sussidiaria. E poi la Dichiarazione dei diritti umani o la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. E, non da ultima, la Carta Costituzionale e in particolare l’articolo 10 che riconosce il diritto d’asilo allo straniero “al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”.
Appare evidente come, con i diritti fondamentali messi in discussione da più parti politiche, con sfumature diverse, e con modalità ora palesi ora no, le Dichiarazioni, le Convenzioni, le Costituzioni stiano assumendo un ruolo di primo piano per risolvere sul piano giuridico e giudiziario situazioni che altrimenti non vedrebbero soluzione politica. A metà 2019 due avvocati internazionalisti francesi, Omer Shatz e Juan Branco, hanno depositato un esposto presso la Corte Penale Internazionale contro la Ue e contro i singoli Stati (tra cui ovviamente anche l’Italia) per “crimini contro l’umanità” in relazione ai trattenimenti e ai respingimenti di immigrati in Libia. E in fin dei conti ancor prima di ogni condanna politica è stata una sentenza della Corte d’Assise di Milano (n.10 ottobre 2017, Pres. Giovanna Ichino) a svelare le torture sistematicamente praticate nei campi libici. Il responsabile delle violenze è stato condannato all’ergastolo: Osman Matammud, somalo membro di un’organizzazione criminale dedita al traffico di migranti, è stato riconosciuto e accusato da 17 delle sue vittime, anche loro somale, arrivate a Milano. L’uomo è stato condannato per i reati di omicidio plurimo, sequestro di persona a scopo di estorsione e violenze sessuali.
L’importanza delle sentenze che fissino verità storiche che la politica non riesce a definire, sta nella spiegazione della filosofa Donatella di Cesare: «Non c’è mai stato un ‘diritto cosmopolitico’ che garantisca i diritti umani. A dettare la legge è lo Stato sovrano. Così quei diritti inalienabili e irriducibili, non derivanti da alcuna autorità sono naturali solo per via della naturalizzazione che la cittadinanza comporta. Chi diviene cittadino infatti si naturalizza. Gli ultimi, proprio gli esseri umani più indifesi vengono lasciati senza difesa alcuna, abbandonati o addirittura respinti nella sfera dell’inumano».
Il premier Giuseppe Conte nella conferenza di fine anno del 28 dicembre ha promesso che a gennaio la maggioranza riprenderà in mano il pacchetto “decreti” per una modifica in base alle eccezioni mosse da Mattarella. Promessa debole che non interpreta la discontinuità professata. E che non accontenta l’ampio cartello di associazioni unite attorno alla campagna nazionale Io accolgo che reclama il riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone a partire dalla “abrogazione” di quelle bandiere della propaganda leghista diventate leggi dello Stato.
(Lorella Beretta)