Oggi Giuseppe Conte è in visita ad Algeri, prima visita di un capo di governo nel Paese nordafricano – preceduto dal ministero degli Esteri Luigi Di Maio, una settimana fa – dopo le elezioni presidenziali di dicembre e la formazione del nuovo esecutivo, come fa notare Agenzia Nova. Oggetto principale dei colloqui con il presidente Tebboune e il primo ministro Abdelaziz Djerad non può che essere la Libia, tanto più che, dopo i lunghi mesi in cui le piazze algerine si sono riempite fino alle dimissioni del presidente Bouteflika e fino alle presidenziali, Algeri ha manifestato la volontà di entrare in gioco sulla crisi libica. Sono però sul tavolo anche le relazioni bilaterali italo-algerine.
Ma chi è il nuovo capo dello Stato algerino Abdelmadjid Tebboune? Anzitutto non è un uomo così “nuovo”. Eletto il 12 dicembre al primo turno con una confortevole maggioranza dei votanti – ma che sono stati meno del 40% degli aventi diritto, effetto della campagna di boicottaggio, evidentemente alquanto riuscita –, ha 74 anni ed è stato primo ministro per pochi mesi nel 2017, conclusisi con le dimissioni: un segmento nella ventennale presidenza di Abdelaziz Bouteflika. Durante il suo breve mandato «tentò di limitare – ricorda Jeune Afrique – l’influenza dei padroni del privato nella condotta degli affari pubblici».
Il neopresidente – formatosi all’École nationale d’administration di Algeri, che anche nel nome ricorda l’Ena di Strasburgo, fucina di alti dirigenti francesi – era già stato ministro dell’Habitat (2012-17), portafoglio importante poiché c’era in ballo un colossale piano di edilizia popolare oltre alla costruzione della Grande moschea di Algeri, effettivamente terminata meno di un anno fa ma non ancora inaugurata.
A Tebboune viene riconosciuta capacità politica strategica: uomo capace tanto di impennate come di rimanere a lungo nel silenzio, a seconda delle opportunità. La morte, il 23 dicembre scorso, per cause naturali, del generale Ahmed Gaïd Salah, che per lungo tempo è stato l’effettivo uomo forte dell’Algeria (Paese di cui l’esercito ha sempre retto i destini), ha come liberato la scacchiera di Tebboune da un pezzo ingombrante – il futuro dirà che cosa saprà fare di questa “libertà”. Non va dimenticato, infatti, il ruolo di Gaïd Salah soprattutto nell’ultimo, cruciale anno. «Ha dato prova di un grande senso strategico, realizzando un colpo di Stato davvero originale – diceva l’intellettuale algerino Boualem Sansal pochi giorni fa in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Dubbio –. Ha saputo approfittarsi di Hirak [il grande movimento popolare di protesta, NdR], fingendo di appoggiarlo, per poi deporre Bouteflika e sbarazzarsi di tutti coloro i quali potevano intralciarlo nella strada verso il governo, ovvero i generali che come lui nutrivano l’ambizione di conquistare il potere quando le condizioni di salute dello stesso Bouteflika peggiorarono».
Boualem Sansal è uno scrittore che fu molto attivo negli “anni di piombo” algerini, il decennio dei Novanta, condannando con forza il fondamentalismo islamico e continuando comunque a vivere nel proprio Paese; i suoi libri arrivati in italiano sono Il villaggio del tedesco (Einaudi, 2009); 2084. La fine del mondo (Neri Pozza, 2018); Nel nome di Allah (Neri Pozza, 2018). Il giudizio di Sansal sul nuovo presidente è tranchant: «L’esercito gli chiede di fare ciò che molti Paesi arabi e musulmani destabilizzati dalle Primavere arabe hanno fatto: rimodernare la dittatura per renderla più sopportabile e accettata come un male minore dall’opinione internazionale». Come Bin Salman in Arabia Saudita, insomma, che procede tra aperture innocue e repressione sostanziale. E come al-Sisi in Egitto.
E Boualem Sansal rincara: «Tebboune è un esperto membro dell’apparato, farà ciò che lo stato maggiore dell’esercito gli chiederà. La scelta dei ministri testimonia la sua tabella di marcia: ha accettato nel suo governo dei veterani del clan Bouteflika (l’autocrate) e dei sostenitori della dittatura nei centri nevralgici del potere, noti democratici – alcuni dei quali erano oppositori del regime – e tecnici dalle acclarate competenze». Per quel che riguarda la carica di primo ministro, Abdelaziz Djerad, 66 anni, è stato direttore dell’Ena di Algeri, ha fatto la sua carriera ad alti livelli politici, per esempio come segretario generale della presidenza della repubblica tra il 1992 e il 1995, sotto due capi dello Stato (Ali Kafi e Lamine Zéroual).
«Penso che Abdelmadjid Tebboune riuscirà nel suo intento – conclude Sansal –, in quanto il popolo è stanco e non potrà continuare all’infinito a manifestare ogni venerdì, mentre, dal canto suo, il potere adotterà misure di distensione per seminare il dubbio negli animi e dividerli».
(Pier Maria Mazzola)