Un gruppo di giovani creative, tra cui la regista keniana Wanuri Kahiu, vuole mostrare la normalità dell’Africa, che è fatta anche di spensieratezza, di leggerezza e di allegria. Perché anche la frivolezza può smontare gli stereotipi
“Frivolo”, il vocabolario ce lo ricorda, vuol dire “superficiale”, “privo di valore”. A volte però la frivolezza può rivelarsi il grimaldello più efficace per attaccare il muro del conformismo sociale e culturale. Succede in Africa, dove un gruppo di giovani creativi illuminati ha scelto di riunirsi sotto l’etichetta AfroBubbleGum: Fun, Fierce & Frivolous (afrobubblegum.com) per raccontare il lato “rosa” del continente e si è trovato, andando ben al di là delle proprie intenzioni, a fare dell’attivismo vero e proprio.
Il collettivo è stato fondato da Nisha Kanibar e da Giorgia Bobley, della Tanzania la prima, americana trapiantata in Africa la seconda, entrambe imprenditrici nel campo della moda. Il nome più conosciuto del gruppo, però, è senz’altro quello della regista keniana Wanuri Kahiu.
Anticonformista
Giovane, bella, con una famiglia facoltosa alle spalle e studi brillanti (una laurea in scienze e un master all’Università della California di Los Angeles), decide presto di puntare sul cinema. Dopo un po’ di gavetta hollywoodiana, realizza nel 2009 Pumzi, il primo film africano di fantascienza, un documentario e altri lavori interessanti. Nel 2018 arriva Rafiki, che racconta la storia d’amore tra due donne appartenenti a famiglie rivali e ambientata nella upper class di un Paese africano.
Tratto da Jambula Tree, un romanzo della scrittrice ugandese Monica Arac de Nyeko, Rafiki (che in kiswahili vuol dire “amiche”), è il primo film del Kenya ad arrivare a Cannes. Ma, dopo il successo sulla Croisette, viene censurato in patria e Wanuri rischia il carcere. Ovviamente è difficile immaginare che la ragazza non avesse messo in conto lo stigma della società keniota rispetto all’omosessualità, ma non immaginava che si arrivasse a tanto.
Fiere e frivole
Quello che comunque tanto lei quanto gli altri di AfroBubbleGum non avevano considerato era che il lato rivoluzionario del progetto potesse andare ben oltre la questione Lgtb. Ciò che ha colpito il pubblico occidentale (e forse non solo quello) è stato scoprire un’Africa diversa dal teatro di guerra e fame a cui la narrazione mainstream ci ha abituato: a Nairobi, a Dakar, ad Addis Abeba è evidentemente possibile godere di buona salute, andare in giro ben vestiti, animati dal desiderio di divertirsi e incredibilmente connessi con quel che accade nel resto del pianeta. Ciò che ha colpito è stato scoprire l’esistenza di una tradizione umoristica, cultura, eleganza e hotel frequentati non solo da expat bianchi ma anche da black people in vacanza. Le protagoniste, per dirne una, avevano outfit ricercati e si muovevano in ambienti eleganti, tra quadri di Wangechi Mutu e mobili di design.
Questo per un certo tipo di pubblico può essere scioccante. L’Occidente riesce a prendere atto senza troppa fatica dell’omofobia serpeggiante in Africa o di altre problematiche, ma fatica ancora a rapportarsi a una rappresentazione divertente, fiera e frivola del quotidiano come quella messa in atto da AfroBubbleGum. La vista di africani che non aspettano di essere salvati ma vivono le loro storie e la loro vita fa saltare tranquillizzanti stereotipi e scardina la visione convenzionale. «In Africa c’è anche molta spensieratezza e allegria – ha dichiarato varie volte Wanuri –. Nessuno ne parlava e abbiamo cominciato noi». Fun, Fierce & Frivolous: divertente, fiero… e frivolo. In questo senso è un sottotitolo, un’indicazione e un programma.
(Stefania Ragusa)