Con i suoi quasi trent’anni di indipendenza autoproclamata e ignorata dal mondo, il Somaliland vanta una posizione strategica e risorse che fanno gola a molti – da quelle ittiche al petrolio, di cui inizierà l’estrazione a breve…
La diplomazia è un gioco strano. Il Somaliland, che ha autoproclamato l’indipendenza il 18 maggio 1991, alla fine della guerra civile somala, è uno Stato a tutt’oggi non riconosciuto. Eppure questa ex colonia britannica aveva già ottenuto l’indipendenza il 26 giugno 1960, come entità separata dalla Somalia ex italiana, prima della fusione delle due parti avvenuta cinque giorni dopo, il 1° luglio. L’ignoranza del diritto all’indipendenza del Somaliland è un caso flagrante di ipocrisia diplomatica, dal momento che per la stessa Unione Africana (Ua) le frontiere ereditate dal colonialismo sono intangibili. Un deputato del Somaliland, Abdurahman Atan, spiega l’atteggiamento dell’Ua, che è il medesimo dell’Onu, con il timore che l’apertura all’indipendenza del Somaliland aprirebbe un vaso di Pandora: vi si potrebbero ispirare altri movimenti indipendentisti africani.
Al tempo stesso, però, è la realpolitik a prevalere. Molti Paesi hanno scambi commerciali e di altro genere con questo Stato del Corno d’Africa che emette i propri passaporti e batte moneta. Le ragioni del paradosso sono evidenti. Mentre le milizie islamiste di al-Shabaab intensificano gli attacchi nel territorio teoricamente controllato dal governo federale di Mogadiscio, il Somaliland – come ha constatato lo scorso maggio lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres – appare ben più stabile e democratico.
Luci e ombre
Il Somaliland è una democrazia pluralista, in cui coabitano tre partiti (Kulmye, Ucid e Waddani) che rappresentano soprattutto i clan. Vige la libertà di stampa, anche se di recente sono state segnalate violazioni. Il 17 maggio, per esempio, il Committee to Protect Journalists di New York ha pregato le autorità di Hargheisa di liberare un reporter di Bulsho TV Channel, Abdirahman Keyse Mohamed, che era stato picchiato dalla polizia, poi messo in detenzione, per aver girato interviste a testimoni dell’arresto di un deputato dell’opposizione. In precedenza, il 15 febbraio, un tribunale regionale aveva sospeso le pubblicazioni di un giornale accusato di «notizie false» riguardo all’edificazione di un nuovo palazzo presidenziale.
Da rubricare nel capitolo negativo anche la defezione, a fine maggio, di 800 militari: hanno chiesto protezione al vicino Stato del Puntland, a est: abitato anche quest’ultimo da somali, ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza nel 1998, e con esso il Somaliland ha relazioni difficili. Nel 2018, i rispettivi eserciti si sono scontrati per il controllo della regione di Sanag. Le popolazioni temono di essere costrette a esodi forzati da un’eventuale escalation, e che si crei, in questo modo, uno spazio per gli al-Shabaab: alcuni gruppi già si nascondono tra le montagne di Galgala. Il governo del Somaliland ha tentato di raffreddare la crisi liberando, il 29 maggio scorso, quattordici prigionieri di guerra catturati durante la battaglia del 2018 che aveva segnato la ripresa di un conflitto decennale tra le due entità indipendentiste.
Partenariato per lo sviluppo
Se sussistono difficoltà con il Puntland e con Mogadiscio, il Somaliland ha tuttavia il merito di non essere sprofondato nell’anarchia, e ha saputo rendersi destinatario di aiuti internazionali crescenti. Il 2 aprile, gli ambasciatori di Unione Europea, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Svizzera e Gran Bretagna hanno parlato con i dirigenti locali, ad Hargheisa, delle elezioni legislative in calendario per il prossimo dicembre nonché di aiuto umanitario e questioni ambientali. Fin dal 2002 la Ue ha finanziato appuntamenti elettorali nel Paese, come ricorda l’ambasciatore del Somaliland a Bruxelles, Mohamoud A. Daar. Alle presidenziali del 2017, erano stati 27 i Paesi – tra cui Argentina, Brasile, Canada, Usa e Stati europei – a inviare osservatori.
Certo il Somaliland è sempre in attesa del riconoscimento come Stato, puntualizza l’ambasciatore, che intanto continua la sua opera di lobbying all’Europarlamento presso i gruppi liberale, conservatore e socialista. Di fatto, negli anni l’Ue si è impegnata sempre più in progetti di sviluppo nel Paese. Con il Regno Unito e la Svezia ha investito 19 milioni di euro in un programma per la prevenzione della siccità e per far fronte ai suoi effetti, con l’obiettivo di ridurre la vulnerabilità di 58.000 famiglie migliorando il loro accesso all’acqua potabile e alla sanità. L’Ue sostiene anche progetti di sviluppo agricolo nell’Ovest del Paese, programmi di istruzione e di formazione degli insegnanti, come pure l’assistenza tecnica al ministero dello Sviluppo.
Le autorità locali amerebbero però che l’aiuto sia canalizzato maggiormente attraverso il Somaliland Development Fund, e che l’Ue si associ a Regno Unito, Olanda, Norvegia e Danimarca nell’alimentare questo fondo, creato nel 2012 per centralizzare i contributi dei partner dello sviluppo del Paese. Nel corso della prima fase (2013-18) sono stati investiti 50 milioni di dollari in diversi progetti inclusi nel Piano nazionale di sviluppo governativo. Questi rientrano nei settori della raccolta e stoccaggio dell’acqua, della viabilità – ponti e strade –nonché della pesca, dell’istruzione e della salute. La Gran Bretagna realizza interventi complementari per sviluppare il corridoio che conduce al porto di Berbera, vitale tanto per lo stesso Somaliland come per la vicina Etiopia.
Il futuro di Berbera
Mohamoud Daar ritiene che la recente riconciliazione tra Addis Abeba e Asmara, che favorisce la ripresa del traffico commerciale dall’Etiopia verso i porti eritrei di Massaua e di Assab, non abbia comunque un impatto negativo sul porto di Berbera. Da un lato, questo è il più vicino a città dell’Etiopia come Dire Daua e Harar. Ed è a motivo dell’importanza di questo Paese fantasma sul piano logistico che sono stati invitati degli imprenditori del Somaliland a Bruxelles, il 14 maggio, per un forum di affari Ue-Etiopia.
Berbera, inoltre, presenta il vantaggio unico di essere un porto naturale in acque profonde, di cui ha già saputo trarre profitto Dubai Port, la società degli Emirati Arabi Uniti che ha ottenuto una concessione trentennale per la gestione e lo sviluppo di infrastrutture per il valore di 442 milioni di dollari. La crescita del porto dovrebbe attrarre nuove compagnie marittime a Berbera, dove già attraccano navi di molti Paesi, tra cui Cina e Australia. L’attività portuaria è particolarmente incoraggiata dalle esportazioni di animali vivi (caprini e bovini dal Somaliland e dall’Etiopia) verso i Paesi del Golfo.
Data la sua posizione strategica nel Corno d’Africa, il Somaliland aiuti dall’Ue e da altri Paesi per combattere la pirateria e rendere le rotte marittime sicure. Imbarcazioni dell’operazione europea Navfor, come la motovedetta spagnola Relampago, partecipano a esercitazioni congiunte con i locali guardacoste, che ricevono formazione anche dalla missione europea di capacity building (Eucap) al fine di migliorare la sicurezza attorno al porto di Berbera. A dicembre, il governo svedese ha donato tre motovedette.
La collaborazione si estende alla lotta ai traffici di droga e di esseri umani. Hargheisa tuttavia lamenta l’insufficienza della solidarietà internazionale per dare assistenza ai profughi sul suo territorio. Sono circa 300.000, di cui 24.000 dalla Somalia.
Ma l’interesse straniero per questo Paese è dovuto anche alle sue risorse naturali. Il Somaliland si prepara a diventare produttore di petrolio: come dichiarato dal ministro dell’Energia, Jama Mohamoud Egal, entro fine anno verranno forati i primi pozzi. A tre compagnie sono già stati attribuiti sei blocchi. Una di esse, Genel Energy, calcola di aver accesso a riserve per un miliardo di barili, l’equivalente di dodici giorni di produzione mondiale!
Fanno gola anche le risorse ittiche. A marzo, il ministro degli Esteri Yasin Hagi Mohamoud ha denunciato la concessione alla Cina, da parte del governo di Mogadiscio, di diritti di pesca che potrebbe minacciare il fragile ecosistema di questa costa della lunghezza di 850 chilometri, dove sinora, grazie alla gestione responsabile delle autorità, la fauna ittica è stata relativamente preservata.
(testo di François Misser – foto di Panos/Luz/Robin Hammond/Eric Lafforgue/Andrew McConnell/Sven Torfinn/Tommy Trenchard)