L’Acnur, agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha dichiarato che in Burkina Faso 14mila persone hanno lasciato le proprie abitazioni nelle ultime due settimane, portando il totale degli sfollati interni a 780mila. «La maggior parte di loro è alla ricerca di sicurezza all’interno del proprio Paese, ma le recenti violenze hanno anche costretto più di duemila persone a fuggire in Mali – ha dichiarato Stephane Dujarric, portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres –. Siamo preoccupati per il drammatico aumento degli sfollati nel Sahel e chiediamo che le popolazioni civili siano protette».
Il Burkina Faso, insieme al Mali, è diventato il centro delle violenze jihadiste. Negli ultimi quattro anni, ha conosciuto un notevole incremento nel numero di attività svolte dai movimenti che si ispirano all’islam radicale. A essere particolarmente colpito è il Nord-est del Paese, ovvero la regione amministrativa del Sahel (omonima della regione geografica a ridosso del deserto del Sahara).
Si tratta di un fenomeno nuovo per il Paese, visto che il Burkina Faso è stato tradizionalmente immune alle ondate di violenza jihadista poiché, nonostante la netta predominanza islamica, il quadro sociale e politico era caratterizzato da un ampio pluralismo religioso. Dopo la fine del regime di Blaise Compaoré (2014), il Paese ha conosciuto una complessa transizione politica travagliata che ha indebolito l’intero assetto istituzionale e le già precarie capacità di controllo del territorio.
Sul terreno operano diversi gruppi. è molto attivo il Gruppo per la salvaguardia dell’islam e dei musulmani (Gsim), il cartello jihadista nato nel 2017 e che riunisce i gruppi armati salafiti attivi nella regione, precisamente: la brigata sahariana di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), al-Morabitoun, Ansar al-Din, il Fronte di Liberazione di Macina (Flm) e Ansarul Islam. Quest’ultimo è un movimento jihadista burkinabè, fondato nel novembre 2016 da Malam Ibrahim Dicko, un predicatore attivo nella regione di Soum allievo di Amadou Kouffa, fondatore del Fronte di Liberazione di Macina.
L’obiettivo comune è trasformare il Burkina Faso o parti del suo territorio in un emirato governato attraverso una interpretazione estremista e deviata della sharia (legge islamica). L’estremismo religioso critica e punta a sovvertire l’ordine sociale e politico burkinabè, dipingendo le istituzioni statali alla stregua di poteri usurpatori che alimentano discriminazione, nepotismo e malagestione della cosa pubblica.
Alle ragioni politiche si mescolano quelle etniche. I movimenti jihadisti pescano consensi soprattutto nella comunità fulani, minoranza dedita alla pastorizia e al commercio, una delle etnie più povere e discriminate del Paese. Praticano la transumanza e, sempre alla ricerca di nuovi pascoli, vengono in contatto con le comunità agricole sedentarie, alcune delle quali cristiane. In un contesto di estrema povertà, scarsezza di risorse e diminuzione delle terre fertile a causa dei processi di desertificazione, la competizione per lo sfruttamento delle terre si trasforma in un conflitto armato. Molti esponenti delle comunità agricole sono oltretutto di etnia mossi, gruppo che, storicamente, ha controllato la vita politica e sociale del Burkina Faso. I mossi tendono quindi a favorire i contadini, aumentando il risentimento dei Fulani.