Dal Benin alla Repubblica democratica del Congo passando per Ciad, Repubblica del Congo e Gabon, gli occhi sono puntati su Ouagadougou, dove una forte mobilitazione popolare orchestrata da società civile e opposizione ha costretto il presidente Blaise Compaoré, al potere da 27 anni, a rassegnare le dimissioni lo scorso 31 ottobre. Una svolta politica nel cuore dell’Africa accolta con un plauso e con grande interesse da opposizioni e società civile di numerosi paesi, ma finora poco commentata dai governanti delle regione che temono sollevazioni anche in casa propria.
Proteste di piazza che di fatto ci sono state negli ultimi giorni sia a Cotonou che a Kinshasa. Nella capitale del Benin e in quella congolese i manifestanti hanno fatto un riferimento diretto al “vento burkinabe”, una formula ispirata a quella del “vento della primavera araba”, soffiato nel 2011 in più paesi arabi e concluso con la destituzione di regimi pluri-decennali. I timori sono gli stessi: che il presidente di turno, il cui mandato scadrà tra il 2015 e il 2016, proceda a una revisione della Costituzione per potersi candidare alle prossime elezioni. E’ il caso dell’economista beninese Thomas Yayi Boni, eletto nel 2006 e riconfermato nel 2011 – che nelle ultime ore ha però dichiarato di “non voler ricercare un terzo mandato”. Stesso ‘pericolo’, secondo opposizione, società civile e capi religiosi, a Kinshasa, dove cresce il sospetto che il presidente Joseph Kabila – alla guida del paese dal 2001 e rieletto con due scrutini contestati nel 2006 e nel 2011 – stia cercando di modificare il calendario delle votazioni e di emendare la legge fondamentale per assicurarsi una riconferma al potere.
Ieri a Brazzaville è stata interrotta da un brusco intervento della polizia una riunione del Partito sociale democratico congolese (Psdc, opposizione), con tema centrale “il rispetto della Costituzione”. Le autorità hanno motivato l’operazione di polizia e alcuni arresti col fatto che la riunione non era stata autorizzata. Per Clément Mierazza, presidente del Psdc, potrebbe invece trattarsi di un “segnale di nervosismo del potere”. In base alla Costituzione vigente, il presidente Denis Sassou Nguesso, 70 anni – in carica da 1979 a 1992 e dal 1997 ad oggi – dovrebbe lasciare il potere a fine mandato nel 2016. L’opposizione teme che il longevo capo di Stato possa modificare la legge fondamentale per candidarsi tra due anni.
In Gabon, per il collettivo Basta così (‘ça suffit comme ça’), quanto accaduto in Burkina Faso rappresenta “una lezione di democrazia che potrebbe servire a tutti i popoli africani”. Con la stessa occasione il collettivo della società civile ha chiesto al governo di organizzare un dialogo nazionale e di approvare una serie di riforme, a cominciare dalla limitazione al numero di mandati presidenziali. “In Gabon tutti sanno che abbiamo una famiglia – i Bongo – al potere da quasi 50 anni. Servono riforme al livello della Costituzione, delle istituzioni repubblicane e per quanto riguarda l’organizzazione delle prossime elezioni presidenziali” ha dichiarato Marc Ona Ossangui, coordinatore di Basta così. Immediata la riposta del segretario generale del partito di Bongo, il Partito democratico gabonese (Pdg). “Paragonare il Burkina Faso e il Gabon è eccessivo. Le situazioni sono ben diverse. Qui abbiamo una Costituzione aperta e il nostro presidente è stato eletto cinque anni fa con un mandato di sette. Non abbiamo alcuna revisione da fare approvare per sollecitare un qualsiasi nuovo mandato” ha detto Faustin Boukoubi, segretario generale del partito al potere. – Misna