Repubblica del Congo, l’inferno degli ultimi

di AFRICA

Bambini di strada presi a bastonate o uccisi. Detenuti lasciati al loro destino in condizioni disumane. Il coronavirus nella Repubblica del Congo ha cominciato a fare le sue vittime, anche se indirettamente. Nel Paese, ex colonia francese, sono stati registrati 22 casi e nessun decesso. I primi effetti, soprattutto sulla popolazione più fragile, però già si vedono.

La Ville e la Cité

Tra gli ultimi degli ultimi ci sono i detenuti e i bambini di strada. Gli enfants de la rue sono praticamente scomparsi dalle strade delle grandi città africane. Nella Repubblica del Congo il fenomeno è molto rivelante, in particolare nella capitale economica del Paese, Pointe-Noire. Una città che sfiora il milione di abitanti dove sono a decine i ragazzini senza un tetto che vagano senza meta per le strade della Ville. Molti di questi arrivano dalla vicina Repubblica Democratica del Congo, dove il fenomeno è ancora più marcato. Pointe-Noire è una città dove si addensano quasi tutte le multinazionali del petrolio e la divisione tra la Cité – la parte più povera della città, dove vive la stragrande maggioranza della popolazione – e la Ville – la parte più ricca e abitata soprattutto dagli espatriati impiegati nell’industria del petrolio • è ben marcato. Le condizioni di vita nella Cité sono precarie e i servizi, corrente elettrica e acqua potabile, non sono fruibili da tutti. Molte abitazioni non hanno l’acqua corrente. In questa città ci ho vissuto a lungo e ricordo un solo episodio, che mi pare significativo, per capire cosa vuol dire vivere in quella parte della città. Era il 2010, per ragioni che non si sono mai capite la fornitura elettrica si è interrotta per 12 giorni in tutta Pointe-Noire. Questo fatto ha causato un’epidemia di poliomielite che ha provocato più di 500 vittime in pochi giorni e centinaia di contagiati. L’epicentro è stato proprio nella Cité. La Ville si è salvata perché le abitazioni sono tutte fornite di generatori di corrente. Erano dieci anni che nel Paese non si registrava un caso di poliomielite.

Gli enfants de la rue

I ragazzi di strada si addensano nelle vie della Ville, ma ora sono spariti – conseguenza delle misure di contenimento dell’epidemia messe in atto dal governo. Ma dove sono finiti? Nella città vive e lavora, da lunghi anni, padre Valentino Favaro, missionario salesiano, che si occupa proprio dei ragazzi di strada. «Qui da noi – mi spiega padre Valentino – le persone più toccate e sensibili sono gli enfants de la rue e i detenuti. Gli ultimi degli ultimi. Sono le prime vittime di questo male oscuro, imprevedibile, che ha messo in ginocchio società molto più organizzate di quella in cui mi trovo». La vita di questi ragazzi si è fatta ancora più dura in questi momenti di restrizioni per far fronte all’epidemia. «Stanno vivendo un tempo durissimo: cacciati da tutti, bastonati dalla polizia che tira su di loro come sui polli, gettati poi in una fossa, come i loro amici banditelli, i bebé-noirs, ragazzi tra i 17 e i 20 anni che seminano terrore e paura nei quartieri. E la polizia spara e se vuoi recuperare il corpo devi pagare il costo delle pallottole sparate per uccidere». Eppure padre Valentino, un ottantunenne che non si dà per vinto,  si occupa di loro da anni, rappresentando l’ultima speranza per decine di ragazzi che altrimenti non avrebbero proprio nulla, soprattutto in questo periodo. «Noi salesiani – racconta il missionario – abbiamo aperto due foyer per questi ragazzi: una sessantina saranno ospitati giorno e notte per almeno due mesi. L’impegno è importante: vitto, vestiti, materassi, lenzuola, medicinali, personale per il giorno e per la notte. Un organismo francese, il Samu Social, ci aiuta molto, ma tutta l’organizzazione è nelle nostre mani». Insomma, uno sforzo imponente.

Il carcere di Pointe-Noire

Lo scoramento non appartiene al carattere di padre Valentino, tanto che prosegue anche la sua attività nel carcere della città. I detenuti sono totalmente dimenticati dalle autorità. Valentino non ha ancora ricevuto il lasciapassare dalle autorità per il suo andirivieni con il carcere. Ma non rinuncia ad andarci. «I detenuti sono contenti anche solo per il fatto che li vado a trovare. “Papa capo” è diventato il mio soprannome. Anche se vieni per soli dieci minuti, noi siamo felici, sei l’unica persona che ci vuole bene. Questo mi dicono». Il missionario salesiano, che è anche cappellano del carcere,  si è impegnato a portagli ogni giorno anche qualcosa da mangiare. «Faccio l’impossibile per preparare per loro una specie di colazione – riso, spaghetti, latte e altro –, per loro è una specie di miracolo. La prigione dovrebbe fornire un altro pasto al giorno, ma spesso la direzione non è in grado di farlo, allora la mia colazione diventa l’unico mezzo di sussistenza. Riesco anche a portare dei medicinali, specie contro la malaria. La prigione ha un infermiere, ma non ha – o non fornisce – nemmeno una pastiglia per il mal di testa, figuriamoci i medicinali per la malaria».

La situazione nella prigione è particolarmente drammatica. Il carcere di Pointe-Noire è stato costruito negli anni Cinquanta del Novecento dalla Francia, ex potenza coloniale, ed è stato pensato per ospitare 75 persone: ora in quelle quattro mura sono rinchiusi quasi 550 detenuti. «Dormono per terra e sul fianco, non c’è nemmeno lo spazio per poter dormire di schiena o di pancia. Ma il numero aumenta. Ci sono detenuti che aspettano anni prima di vedere un procuratore della Repubblica; se non hanno 2000 franchi Cfa (3 euro) per chiedere udienza il loro caso rimane nel cassetto. Sugli ultimi della terra ora si sta abbattendo anche questa malattia. Cosa accadrà? Non lo so, ma posso prevederlo, visto che non si fa nulla in previsione di un probabile contagio. Insomma non so immaginare cosa diventerà la vita qui da noi se scoppiasse l’epidemia».

(Angelo Ferrari)

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