In questi giorni ho fatto dei brevi incontri coi quarantun ragazzi che abbiamo riscattato dalla strada il 31 marzo con l’aiuto dello Street Families Rehabilitation Trust Fund e che sono a Kerarapon. Ieri ho spiegato loro che presto riceveranno una visita da personale della Sanità per verificare la situazione igienica generale e che magari faranno loro una visita medica completa, anche col tampone per il “corona”. Poi, forse, entro fine settimana, altri Jack, Fred e Harrison andranno a prendere in strada altri più o meno 40 ragazzi. Avremo qualche difficoltà logistica, magari i primi giorni ci sarà qualche difficoltà in cucina… Ma voi siete disposti a riceverli a braccia aperte? Consenso unanime. «Ci sono anche tanti nostri amici!».
I più grandicelli, 15 anni o giù di lì, hanno occhi da stregoni, occhi di persone che già conoscono tutto, come direbbe il mio amico Arnoldo. Occhi che quando gli parli ti guardano fisso, che ti trapanano l’anima, ti vogliono leggere dentro, e probabilmente ci riescono. Occhi che hanno visto tutto. Occhi che ti mettono davanti alle tue responsabilità, ti fanno pesare ogni parola che dici, ogni gesto che fai. Non li voglio illudere, sarebbe imperdonabile se tentassi di farlo, ma sarebbe comunque impossibile farlo. Occhi che poi a fine incontro ti dicono che sono ancora capaci di farti credito e di tornare a sperare, credere, amare.
Intanto il coronavirus continua a colpire altre persone, 270 positivi è l’ultimo conto ufficiale che ho visto. Con i mass media che fanno del loro meglio per far conoscere come proteggersi, e stigmatizzano i comportamenti scorretti, come si vede nel titolo del quotidiano di oggi.
A Kivuli ci sono persone che vengono a chiedere aiuto. «Padre, ti ricordi di me? Sono stato a Kivuli dal 2002 al 2010. Il negozio dove facevo il commesso ha chiuso, adesso mia moglie è incinta al sesto mese, e non riusciamo neanche a mangiare», mi dice un ragazzo ormai venticinquenne. Poi la sera vedo su un canale tivù del Sudafrica che ci sono stati assalti ai supermercati di persone spinte dalla fame. Spero che non succeda presto anche qui.
Padre Renato Kizito Sesana è un missionario che vive tra Nairobi (Kenya) e Lusaka (Zambia), città dove ha avviato case di accoglienza per bambini e bambine di strada (si chiamano Kivuli, Tone la Maji, Mthunzi…) e molte altre iniziative principalmente rivolte ai giovani, rendendoli protagonisti (come la comunità Koinonia). È cofondatore della onlus Amani, che dall’Italia sostiene la sua opera. Da giornalista, ha sempre avuto una viva attenzione alla comunicazione, dapprima come direttore di Nigrizia, quindi fondando a Nairobi la rivista New People e rendendosi presente sui mezzi di comunicazione keniani e internazionali.